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Operazione Lua Mater, così il boss di Regalbuto imponeva la sua autorità: quando umiliò un pusher che aveva spacciato senza il suo permesso

Tornato in libertà dopo aver scontato la precedente condanna per associazione mafiosa aveva ripreso in mano le redini della famiglia mafiosa

Di Redazione |

Tornato in libertà dopo aver scontato la precedente condanna per associazione mafiosa aveva ripreso in mano le redini della famiglia mafiosa di Regalbuto. Referente del clan sia all’interno della Provincia di Enna sia all’esterno nei rapporti con esponenti delle famiglie mafiose attive nell’hinterland catanese. E’ quanto emerge dal blitz antimafia della Polizia ‘Lua Mater’, che all’alba di oggi ha portato all’esecuzione di 13 misure cautelari nell’Ennese, tra Regalbuto e Pietraperzia, e al sequestro di due imponenti arsenali pronti all’uso. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, favoreggiamento personale aggravato, detenzione e porto abusivo di armi da guerra armi clandestine e comuni da sparo. A Regalbuto, in particolare, secondo gli investigatori della Squadra mobile di Enna e del Commissariato di Leonforte, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta a gestire gli affari era A.P.A., in grado di esercitare un capillare controllo del territorio.

Affari e non solo, perché A.P.A. interveniva nella regolazione delle controversie private. A lui, a esempio, si sarebbe rivolta una persona che si riteneva vittima di “prevaricazioni” da parte di un vicino o due affiliati del clan Santapaola per il recupero di un credito legato a una cessione di sostanza stupefacente a un “cliente” di Regalbuto. Sollecitato dalle vittime dei furti sarebbe intervenuto con successo per il recupero di un’auto e di un furgone, entrambi rubati a Regalbuto (nel secondo caso dietro pagamento di un riscatto).

A.P.A. avrebbe, inoltre, rintracciato un pusher accusato di aver spacciato droga a Regalbuto senza la sua “autorizzazione” e l’avrebbe picchiato, umiliadolo, senza che quest’ultimo, benché apparentemente più prestante e giovane, reagisse in alcun modo. “La condotta è sintomatica di un ruolo mafioso, che comporta il potere di controllare le attività illecite poste in essere sul suo territorio, consentendole o meno”, spiegano gli investigatori. Il giovane, particolarmente prestante, prendeva gli schiaffi e non reagiva riconoscendo il potere del boss.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA