Nel caso Open Arms ci fu un prima e un dopo. E a fare da spartiacque fu una decisione della magistratura. Quando il Tar del Lazio, il 14 agosto del 2019, annullò il decreto con il quale il Governo aveva vietato alla nave della ong spagnola con i 147 migranti soccorsi in mare di entrare in acque italiane, nei rapporti tra i ministri che fino ad allora avevano condiviso la fermezza nella gestione della vicenda qualcosa cambiò. Lo dicono Danilo Toninelli e Elisabetta Trenta, all’epoca rispettivamente a capo dei dicasteri delle Infrastrutture e della Difesa, deponendo al processo all’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, imputato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver impedito all’imbarcazione con i profughi a bordo l’approdo in un porto italiano.
«Fino alla decisione del Tar concordavo sul divieto», dice Toninelli in aula. «A me spettava solo di verificare che non fosse coinvolta una nave militare», precisa Trenta. Ma entrambi affermano senza esitare: «dopo la decisione dei magistrati era inutile adottare un decreto fotocopia a condizioni immutate, anzi peggiorate visto che il tempo trascorso a bordo dai migranti era aumentato e a bordo la situazione stava peggiorando». I due ministri non nascondono le tensioni che si vivevano nell’esecutivo dell’epoca, forse motivo reale del diverso atteggiamento poi assunto sul caso Open Arms. «All’epoca non esisteva già più un governo, esisteva una persona, Salvini, che andava in giro, era in campagna elettorale e parlava alla pancia delle persone – dice Toninelli – Non si facevano più Consigli dei Ministri, con ministri che operavano collegialmente. Siccome si sapeva che sarebbe stato sfiduciato il Governo, si stava cercando di monetizzare». «Dei falli dell’attaccante risponde solo chi li fa non tutta la squadra», aggiunge l’ex ministro delle Infrastrutture, pur stigmatizzando come non corretto l’operato della ong spagnola che aveva rifiutato prima lo sbarco a Malta e poi l’offerta del porto sicuro (pos) in Spagna.
Meno caustica la Trenta. «Io da ministro dell’Interno non mi sarei comportata così. Le nostre battaglie giuste non devono ricadere sui fragili e ci sono diritti umani che vanno rispettati, secondo me seppur in presenza di minacce di terrorismo. I migranti si potevano far sbarcare e si potevano fare successivamente le verifiche relative a un allarme sicurezza». «Io – conclude – credevo comunque che non sarebbe stata una misura sufficiente per avere una maggiore collaborazione da parte della ong e arrivare al risultato di un controllo migliore dei flussi migratori».
Ma dall’udienza di oggi è arrivata un’altra novità. Agli atti del processo è finito il materiale realizzato dal personale del sommergibile Venuti della Marina nel corso dell’intervento di salvataggio della Open Amrs: video, foto e audio depositati dai pm, che l’ex ministro della Difesa dice di non aver mai visionato. Secondo la legale del leader leghista Giulia Bongiorno potrebbero avere importanza per la difesa perchè evidenzierebbero anomalie nella condotta della Open Arms. Bongiorno parla, in particolare di una informativa «fantasma" risalente già ai primi di agosto del 2019. «Sarebbe gravissimo se qualcuno avesse nascosto, omesso o dimenticato documenti rilevanti da parte di organi dello Stato», ha detto Salvini al termine dell’udienza.
Il processo proseguirà il 13 gennaio con le deposizioni dell’ex premier Giuseppe Conte, dell’ex ministero degli Esteri Luigi Di Maio e dell’ex ministro dell’Interno Luciana Lamorgese.