Era in sicurezza la nave Open Arms mentre era in navigazione oppure le condizioni di pericolo imponevano l’assegnazione di un porto sicuro? A bordo i naufraghi stavano bene o la situazione igienico-sanitaria era grave? La decisione di fare rotta verso l’Italia fu una scelta dettata dal mare mosso per portare in salvo 147 persone o l'equipaggio della ong spagnola ha infranto le leggi internazionali rifiutando di condurre in Tunisia, a Malta o in Spagna uomini, donne e minori? Sono gli interrogativi ai quali hanno risposto i testimoni che stamani sono stati sentiti nell’udienza del processo, che si celebra nell’aula bunker del carcere Pagliarelli a Palermo, dove è imputato il senatore Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio. Per quasi sette ore, con una pausa di circa sessanta minuti, i testi hanno risposto alle domande del pm Geri Ferrara e dell’avvocato Giulia Bongiorno, legale di Salvini, presente in aula. Alla fine il leader della Lega è laconico di fronte ai giornalisti: «Siamo veramente su scherzi a parte», mentre per il suo difensore, l’avvocato Giulia Bongiorno «Oggi l’imputazione crolla, nel momento in cui ci è stato detto che il place of safety (porto sicuro) c'era, era la nave stessa».
Centrale è stata la deposizione dell’ammiraglio Sergio Liardo, capo del terzo reparto del Comando generale delle capitanerie di Porto. L’alto ufficiale ha ricostruito gli eventi avvenuti nell’agosto del 2019, affermando che il 15 agosto, quando la Open Arms era già davanti a Lampedusa, ci fu «una interlocuzione tra il Viminale e la Capitaneria di porto» nel corso della quale "il prefetto Matteo Piantedosi ipotizzò l’individuazione di un porto sicuro a Taranto o a Trapani». «Ma le soluzioni erano impraticabili perché le condizioni del mare non lo consentivano», ha specificato. Ha poi ricordato le richieste di Pos mandate dalla ong a Malta e all’Italia, il silenzio de La Valletta, il decreto di interdizione delle acque italiane emesso dal governo e poi annullato dal Tar e che la Spagna aveva offerto la possibilità di attracco all’imbarcazione, ma la ong comunicò che le condizioni meteo e quelle dei profughi non avrebbero consentito un viaggio fino alla penisola iberica. "Impossibile», per l’alto ufficiale, anche fare proseguire la nave verso Trapani o Taranto: il mare era forza 4 con onde di 2 metri. «Arrivò, dunque, una richiesta e noi come centro di coordinamento accordammo la possibilità di trovare riparo verso Lampedusa senza disporre ingresso in porto – ha proseguito».
A bordo le condizioni erano intanto difficili, anche se Liardo, rispondendo all’avvocato Bongiorno, ha precisato: «I migranti erano sempre stati assistiti da un punto di vista di salute e quando c'erano esigenze particolari venivano sbarcati». Per Leonardo Tringali, dell’Ufficio circondariale marittimo di Lampedusa, tuttavia i profughi «erano molto provati, in più di un’occasione in diversi si buttarono in mare per cercare di raggiungere Lampedusa a nuoto ed era anche difficile soccorrerli perché non volevano tornare a bordo della Open Arms». Ma per il capitano della Finanza, Edoardo Anedda, «indirizzando la rotta a Nord, dopo il soccorso del primo gruppo di migranti in Libia, la Open Arms si diresse volontariamente in Italia nonostante le norme le imponessero di rivolgersi all’autorità dello Stato in cui il soccorso era avvenuto, cioè il Paese nordafricano».