CATANIA – «E che dovevo fare… meglio la sua che la mia famiglia…», così Nicola Mancuso, 33 anni, accusato dell’omicidio di Valentina Salamone, la 19enne trovata morta il 24 luglio del 2010 in una villetta di Adrano, avrebbe risposto al boss ergastolano poi pentito Aldo Navarria che, nel 2015 durante l’ora d’aria del carcere di Siracusa, gli chiedeva notizie sull’inchiesta. E’ lo stesso collaboratore di giustizia a ricostruire l’incontro deponendo davanti alla quarta della Corte d’assise di Catania, aggiungendo che si è convinto, da come ha risposto e da gesti seguenti, che è stato lui l’autore del delitto di Valentina, poi mascherato da suicidio.
Per la morte di Valentina Salamone in un primo momento era stata infatti chiesta l’archiviazione, ritenendolo appunto un suicidio, ma la Procura generale di Catania, rappresentata in aula da Sabrina Gambino, ha avocato a sé l’inchiesta e dopo perizie dei carabinieri del Ris, che hanno ritenuto di avere trovato tracce di sangue dell’uomo sotto le scarpe della giovane, ha chiesto il processo per l’imputato, che è stato rinviato a giudizio il 19 ottobre del 2016 dal Gup Marina Rizza. La posizione della corda, il tipo di nodo al cappio, la presenza di sangue della vittima, del suo presunto omicida e di un ‘ignoto 1’ maschio, oltre alla traiettoria degli schizzi ematici permettono – secondo la perizia del Ris – di escludere il suicidio.
Mancuso, che è sposato ed aveva avuto una relazione con la vittima, si è sempre proclamato innocente. L’uomo fu arrestato il 4 marzo del 2013 e scarcerato il 28 ottobre successivo dal Tribunale del riesame. Attualmente è detenuto per la condanna definitiva a 14 anni di reclusione per traffico di droga nell’ambito di indagini della squadra mobile di Catania e per l’ordinanza cautelare dell’operazione “Adranos”.