«Lo Stato ci deve garantire, invece ci abbandona: la nostra ragazza aveva denunciato il suo assassino, però è morta ugualmente. Questa Legge non può più andare bene. Deve essere cambiata». Sono appena trascorse le 13 e i parenti di Vanessa Zappalà si ritrovano in casa della nonna materna, Pietra Trovato, a poche centinaia di metri dall’abitazione in cui risiedeva la stessa vittima. Alcuni di loro hanno visto il cadavere della sfortunata ragazza nella sala mortuaria del Policlinico e i volti tradiscono il dolore, la disperazione ma anche la rabbia per una tragedia che forse poteva essere evitata.
Antonella Lanzafame, la madre di Vanessa, viene sostenuta da alcune congiunte che l’aiutano a raggiungere l’interno della casa; Carmelo Zappalà, il padre, affida al nostro taccuino i propri pensieri. «Ho bisogno di parlare – quasi si giustifica – perché devo liberarmi: non era questo il futuro che avevo sognato per mia figlia. Lei quell’uomo l’aveva amato; ne aveva conosciuto anche i figli, ai quali ogni tanto comprava qualche regalino. Ma il loro rapporto è stato sempre condizionato dalla gelosia e dalla violenza di questo individuo, che alla fine siamo stati costretti a denunciare. Purtroppo non è bastato».
«Il loro – prosegue – non è mai stato un rapporto tranquillo e nello scorso mese di dicembre si erano già lasciati. Poi abbiamo avuto un chiarimento e hanno deciso di riprovarci, ma tutto ciò fin quando lui, in febbraio, non l’ha nuovamente massacrata di botte. L’ho chiamato al telefono e mi ha risposto “hai una figlia menomata”. Per 15 giorni non si è più fatto vedere, ma presto è tornato alla carica con comportamenti assurdi e ossessivi, che hanno provocato in Vanessa – lei così bella e solare – un forte stato di tensione».
«Lo scorso primo maggio – continua – un episodio che ha dell’incredibile. Rincasiamo e mia figlia vede che la porta del solaio al piano superiore si chiude mentre lei sale le scale: salgo a controllare ed è come bloccata, ma capisco che c’è qualcuno dentro; invito questa persona a venire fuori, che non sarebbe accaduto alcunché e dopo un po’ è proprio Tony Sciuto ad aprire la porta. Sapeva che il tubo della cappa della cucina sfogava lì e da quella postazione ascoltava tutti i nostri discorsi. Una follia. In quel solaio abbiamo trovato un tappeto di sigarette della stessa marca fumata da lui. Un segnale che quest’uomo era solito entrare lì».
«Speravamo – ricorda Carmelo Zappalà – che dopo questo fatto lui cambiasse atteggiamento, temendo la denuncia ai carabinieri, ma ci sbagliavamo. E’ diventato sempre più arrogante e ce lo siamo pure trovati ad altezza casa, dopo che lo stesso aveva invaso una proprietà privata vicina. “Trasu unni spacchiu è ghiè”, mi disse».
«Dopo tali episodi – continua – decido di chiedere un incontro chiarificatore alla presenza dei suoi genitori. In quell’occasione Vanessa viene strattonata e riceve almeno sei sputi in viso. Il padre di Tony, che ha dimostrato di essere una brava persona, invita il figlio a darsi una regolata. Vado via congedandomi con una frase: “Sono entrato in questa casa da padre di famiglia e da amico, me ne vado da padre di famiglia e da amico. Però se accade ancora qualcosa a Vanessa, che ormai non vuole più saperne di questa relazione, sono pronto ad andare dai carabinieri”. La risposta di Tony? “Non ti preoccupare, ti ci accumpagno jù ‘nte vaddia”… E infatti dopo qualche giorno è stato sorpreso ad armeggiare con un gps, come quello che aveva montato pure sulla mia auto, sotto la “Seicento” di mia figlia. «Questa volta la denuncia parte davvero e, dopo averlo sorpreso nuovamente qui in zona, arriva pure l’arresto dei carabinieri, con i conseguenti domiciliari. Purtroppo durano solo tre giorni».
«Da quel momento – conclude Carmelo Zappalà – di lui non abbiamo più traccia. E sembra che davvero l’incubo sia finito. Al punto tale che Vanessa comincia a riappropriarsi della propria vita e dei propri spazi di ragazza di 26 anni. Lo ha fatto per poco più di due mesi. Non potrà più farlo. E’ questo il dolore che strazia tutti noi…».
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