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Omicidio Chiappone: tra condannati all’ergastolo anche Antonio Marano, il killer delle carceri

Per il boss ottantenne è l'ennesima condanna all'ergastolo. Alle sue spalle una lunga scia di sangue

Di Redazione |

Antonio Marano, 80 anni, condannato all’ennesimo ergastolo, spietato sicario della mafia catanese degli anni ’80, ha una storia criminale di grosso spessore ed è passato alla cronaca come uno dei killer delle carceri con il sodale Antonino Faro e il rivale Vincenzo Andraus. Come quando nel carcere di San Vittore a Milano, con Faro, urlò di essere in possesso di una bomba e col complice fece irruzione nella cella di Andraus per ucciderlo con un tubo della doccia che «avevamo staccato con le mani» per «assassinare un infame», ma l’intervento dei secondini bloccò il tentativo di omicidio. Ai giornalisti, durante il processo in cui i due furono condannati a 17 anni di carcere ciascuno, non spiegarono il movente: «Se Andraus fosse morto – sostenne Marano – si poteva dire, ma purtroppo è vivo. Quando morirà ne riparleremo…».Il 5 ottobre del 1987 lui e Faro furono vittime di un attentato nell’aula della Corte d’assise di Milano: durante la requisitoria del Pm Francesco Di Maggio al processo Epaminonda, il detenuto Nuccio Miano sparò con una pistola diversi colpi contro di loro, ma ferì due carabinieri. Il tentativo di vendetta arrivò un anno dopo: era il 7 novembre del 1988 e nell’aula-bunker delle Vallette di Torino si celebrava un processo-stralcio contro il ‘clan dei catanesì davanti la Corte d’assise presieduta da Gustavo Zagrebelsky, quando da una delle gabbie Marano lanciò una bomba-carta contro la celle in cui si trovano i fratelli Nuccio e Luigi ‘Jimmy’ Miano. L’ordigno artigianale realizzato con dell’esplosivo nascosto dentro un pacchetto di sigarette non colpì il bersaglio, ma una canaletta elettrica e un termosifone in ghisa sventrato dall’esplosione.

Storie che sembravano finite impolverate nell’antica sanguinosa storia di Cosa nostra di Catania, rispolverate dalla condanna all’ergastolo dell’80enne Antonino Marano per concorso nell’omicidio di Dario Chiappone. A incastrare il “killer delle carceri” sono state le sue impronte digitali trovate dai militari del Ris sul luogo del delitto. Quando gli hanno notificato l’ordine di carcerazione per il delitto, nel dicembre del 2019, era già detenuto per detenzione illegale di arma da fuoco: era stato arrestato nel maggio dello stesso anni da Carabinieri di Catania in possesso di una pistola calibro 7,65, col colpo in canna e pronta a sparare.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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