PALERMO A far nascere i sospetti fu una telefonata. Era il 13 dicembre del 2017: l’avvocato del Palermo calcio, Francesco Paolo Di Trapani, informava l’ex patron rosanero Maurizio Zamparini di un suo incontro con uno dei giudici che avrebbe dovuto decidere sull’istanza di fallimento del club avanzata dalla Procura. Solo che l’imprenditore friulano, nel frattempo indagato per autoriciclaggio ed evasione, era intercettato. E il dialogo finì agli atti dell’inchiesta.
«Quando le ho scritto stavo uscendo dal palazzo di giustizia – diceva il legale – mi ha chiamato il giudice che ha in mano la pratica e abbiamo parlato una mezz’ora… devo dire, approccio trasparente. Mi dice che ha letto le carte e ha apprezzato le nostre argomentazioni».
Il magistrato di cui i due parlavano era Giuseppe Sidoti, giudice relatore nella procedura fallimentare, oggi sospeso dall’esercizio delle funzioni per un anno con le accuse di corruzione, rivelazione di notizie riservate e abuso d’ufficio.
«Mi preannuncia che sabato uscirà un provvedimento – dice Di Trapani a Zamparini – ovviamente per lei che è maestro dello sport 1 X 2, lui dice due sono a vostro favore, uno ovviamente no. Il messaggio che io ho percepito, presidente, è un messaggio estremamente favorevole». Per i pm palermitani è abbastanza. L’intercettazione passa ai colleghi nisseni competenti nelle inchieste sulle toghe del capoluogo.
Dopo la telefonata il Tribunale nomina un collegio di periti per una valutazione sulle casse del Palermo. Passa qualche mese e rigetta l’istanza di fallimento. Una sentenza pilotata quella che ha evitato il crac? Il sospetto c’è. E Sidoti, Di Trapani e l’ex presidente del club Giovanni Giammarva, vecchio amico del giudice anche lui oggi sospeso dalla professione di commercialista, finiscono sotto inchiesta.
L’elenco delle accuse della Procura di Caltanissetta è lungo: Sidoti non si sarebbe astenuto dalla causa fallimentare nonostante il rapporto «di conoscenza e di estrema confidenza» con Giammarva. Ma non solo, il Tribunale nominò consulente nella superperizia Daniele Santoro, anche lui legato da rapporti professionali pluriennali con Giammarva.
Le intercettazioni dei dialoghi tra il giudice e il consulente proverebbero inoltre la «volontà del magistrato di orientare l’esito del procedimento in senso favorevole alla società». Sidoti, dicono i pm, avrebbe dato al consulente «una serie di direttive finalizzate a non far emergere nell’elaborato peritale criticità delle quali entrambi erano a conoscenza, con riguardo in particolare alla falsità dell’operazione di cessione da parte della U.S. Città di Palermo S.p.A. ad Alyssa s.a. (società di diritto lussemburghese riconducibile sempre a Zamparini) delle quote di Mepal spa (società detentrice del marchio del club rosanero) per 40 milioni di euro e alla solvibilità della stessa Alyssa s.a. e di Gasda (holding del gruppo Zamparini, fideiussore del credito di Alyssa s.a.)».
Le criticità via via riscontrate dai consulenti tecnici sarebbero state riferite dal magistrato all’avvocato del club Paolo di Trapani per consentire alla società «di porre in essere accorgimenti strumentali a scongiurare la dichiarazione di fallimento», scrivono i magistrati. Sidoti, al termine della procedura, avrebbe dunque scritto un decreto di rigetto dell’istanza di fallimento, da considerarsi «atto contrario ai doveri di ufficio, in quanto adottato in violazione dei doveri di imparzialità». In cambio, secondo quanto emerso dalle indagini, avrebbe ottenuto un incarico nell’organismo di vigilanza della società rosanero per una donna a cui era legato, l’avvocato Vincenza Palazzolo.