Notizie Locali


SEZIONI
Catania 17°

Mafia

Niscemi, il “Mondo opposto” di Cosa nostra disarticolato dai carabinieri e dalla Dda nissena

Alcuni componenti del clan avrebbero organizzato una rapina di un milione di euro a Milano nei confronti della mafia russa

Di Laura Mendola |

Per la Procura distrettuale di Caltanissetta non ci sono dubbi, nel vuoto d’organico all’interno di Cosa nostra gelese a prendere le redini del clan sarebbe stato Alberto Musto, 38 anni di Niscemi, che era pronto a fare fuoco nei confronti di un imprenditore niscemese sol perché dieci anni fa lo ha fatto finire in carcere per mafia e tentata estorsione.  Il dato emerge nell’ambito del blitz “Mondo opposto” con il quale i militari dell’Arma, su coordinamento della Dda di Caltanissetta, pensano di aver disarticolato la famiglia di Niscemi.

Il progetto omicidiario

Uscito dal carcere dopo aver scontrato la condanna il niscemese con il fratello Sergio Musto, di 36 anni, si sono messi subito al lavoro per ammazzare chi con la forza della denuncia ha puntato l’indice contro gli esponenti niscemesi. Una vendetta da “servire” in un piatto freddo quando i fari della giustizia si sono calati.

L’indagine

Ma a monitorare gli spostamenti dei fratelli Musto c’erano i carabinieri del Comando provinciale di Caltanissetta e quelli del Reparto territoriale – rispettivamente guidati dal colonnello Vincenzo Pascale e  dal tenente colonnello Marco Montemagno – i quali su coordinamento della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta, guidata da Salvatore De Luca, li hanno subito intercettato chi all’interno dell’attività commerciale dell’imprenditore avrebbe dovuto fare fuoco. I killer, però, avrebbero potuto anche sbagliare bersaglio perché non conoscevano la vittima. Sarebbe potuta essere una strage di innocenti.

Le accuse

L’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del tribunale di Caltanissetta Graziella Luparello ha fatto finire in carcere 25 persone, 3 sono agli arresti domiciliari (due donne e un poliziotto in pensione) ed è stato sospeso dal servizio un carabinieri che lavora a Gela ed è di Niscemi.  Le accuse, a vario titolo, sono di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, favoreggiamento personale, violenza privata, minaccia e minaccia a pubblico ufficiale, illecita concorrenza con minaccia e violenza, incendio, porto e detenzione di armi e munizionamento, ricettazione e violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale.

La trasferta in Lombardia

Gli uomini del clan progettavano anche una rapina ai danni di persone residenti in Lombardia, presumibilmente collegate alla criminalità russa e quindi dotate di armi, che avrebbe fruttato oltre un milione di euro. Anche in questo caso il piano fu abbandonato a causa della pressione esercitata dalle forze dell’ordine, con controlli e perquisizioni a tappeto.

Ritorno al passato

L’operazione di oggi è sintomatica di un ritorno della criminalità organizzata a una mentalità di almeno 30 anni fa (chi denuncia deve essere punito). Rispetto ad anni addietro sicuramente la grossa differenza è data dal fatto che le Istituzioni sono presenti, che lo Stato c’è, e l’odierna operazione, effettuata in tempi stretti e chirurgici, ne è la prova concreta.

Il procuratore De Luca

“La differenza rispetto a trent’anni fa – ha detto il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca – lo Stato c’è, allo stato possiamo affermare che abbiamo il controllo del territorio”. Dietro al risultato investigativo ci sono i “sacrifici da parte delle forze dell’ordine e della procura. I magistrati che hanno coordinato l’indagine sono gli stessi che si occupano delle stragi e queste prendono molto tempo. Abbiamo bisogno quantomeno che siano confermate le risorse che abbiamo o che le risorse siano almeno incrementate”. Questo argomento è stato affrontato durante un incontro alla Direzione nazionale antimafia al quale ha preso parte la Presidente Giorgia Meloni.

Le intimidazioni alle forze dell’ordine

Nel corso delle indagini sono emerse anche minacce e intimidazioni dirette ad appartenenti delle forze di polizia. Gli indagati avevano lasciato una testa di maiale davanti al portone di ingresso dell’abitazione di un poliziotto e avevano anche progettato, ma non sono a riusciti a portarli a termine, l’incendio di un’autovettura e colpi di arma da fuoco contro le abitazioni di altri esponenti delle forze dell’ordine. Tentativi che sono stati sempre anticipanti e sventati dai carabinieri.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA