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Nell’Isola dei caporali infuocata dal sole si prepara lo sbarco di ventimila “schiavi”

Di Mario Barresi |

CATANIA – Niente vacanze per i mercanti di uomini. Non c’è tempo da perdere, perché – nell’Isola dei caporali – bisogna organizzarsi ad accogliere lo sbarco di almeno 20 mila “schiavi” stagionali. Nella campagna siciliana ancora arsa dal sole cocente d’agosto, ci si prepara alla stagione delle grandi campagne di raccolta: ortaggi, uva, olive, in attesa degli agrumi. E così, come ogni anno, si rinnova l’appuntamento con la transumanza dei braccianti stranieri: arrivano, vengono sfruttati per il tempo necessario, e poi se ne vanno. Fra fine agosto e ottobre saranno circa 20 mila, secondo le stime di Flai-Cgil, il sindacato più in trincea contro lo sfruttamento. Che non risparmia, ovviamente, chi nelle campagne siciliane lavora da “stanziale”: oltre 30 mila (quasi la metà dei quali nel Ragusano) secondo i dati del sindacato. Di questi, secondo le stime Inps sui lavoratori stranieri iscritti negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli, 15.300 provengono da area extra-Ue (5.600 marocchini, 3.000 tunisini), quasi altrettanti – 15.130, con un’ampia maggioranza di 9.500 romeni – da Paesi comunitari.

In tutto 50mila uomini, che incrociano i loro destini in alcune zone della Sicilia: oltre alle serre, per quasi tutto l’anno,nei prossimi mesi sarà a Cassibile, Paternò, Campobello di Mazara, Ribera. E oltre alle location, i nuovi servi della gleba condividono il tipo di lavoro. «L’80% dei lavoratori stranieri, sia stanziali sia migranti, è impegnato nella raccolta. Il resto – è la stima di Alfio Mannino, segretario regionale Flai – in attività di pastorizia, assai pochi nelle altre fasi colturali». Tutti gli stagionali (ma anche una buona parte degli stanziali) sono «costretti a vivere in abitazioni di fortuna, fatiscenti e prive delle minimi condizioni igienico-sanitario, oltre a subire condizioni lavorative disumane: 10-12 ore di lavoro per una paga che varia dai 25 ai 35 euro».

Ma c’è una differenza, non proprio sottile, fra le due categorie di braccianti stranieri: «Se i lavoratori stanziali non sono soggetti al fenomeno del caporalato, ma sono costretti a subire sfruttamento e lavoro nero come ci raccontano i fatti di cronaca specie del Ragusano, i migranti, invece, per lavorare sono costretti a essere reclutati dai caporali. Spesso sono cittadini romeni e bulgari che operano in combutta con la criminalità organizzata locale». E le modalità di ingaggio? «Romeni, bulgari, albanesi e polacchi spesso sono già organizzati il giorno prima. Invece i lavoratori non comunitari vengono in genere reclutati la mattina, alle prime luci dell’alba, in alcuni punti prestabiliti nei vari paesi», ricostruisce il segretario di Flai.. E infine gli italiani: «In questo contesto i nostri braccianti sono ingaggiati in parte dalle agenzie interinali e in parte direttamente dalle aziende agricole e in piccola misura vengono chiamati la mattina nei luoghi di reclutamento informale, come le rotonde o nelle vicinanze dei distributori di benzina», ricorda Mannino. Denunciando che «anche i lavoratori italiani subiscono una forte decurtazione del salario che non supera mai i 40-45 euro e solo una giornata di lavoro su due viene regolarmente dichiarata all’Inps».

La Flai nelle scorse settimane è stata impegnata nella campagna “Ancora in campo “, «un viaggio nei luoghi dello sfruttamento in cui abbiamo incontrato i lavoratori che partivano per i campi: volti e lingue differenti, giovani e meno giovani, accomunati dall’esigenza che vengano rispettati i diritti più elementari». Se non ora, quando? «I recenti e tragici fatti di Foggia non possono lasciarci indifferenti – dice Mannino – anche perché la nostra regione, come dimostrano i tanti interventi di magistratura e forze dell’ordine è particolarmente esposta a fenomeni di sfruttamento, lavoro nero e di caporalato».

Ma dal sindacato arriva anche un monito alla politica. Romana, innanzitutto: «È inaccettabile la posizione di chi vuole manomettere ed indebolire la legge 199 che sotto l’aspetto repressivo ha consentito di individuare e colpire in maniera più efficace lo sfruttamento e il caporalato. La legge va anzi resa operativa in quella parte che fornisce strumenti preventivi come le sezioni territoriali della rete del lavoro agricolo di qualità». Ma c’è un messaggio anche con destinazione Palermo: «Sarebbe opportuno che la Regione, oltre a potenziare gli organi ispettivi dell’Ufficio del lavoro, predisponga una riforma del mercato del lavoro agricolo in cui si introducano misure per rendere trasparente l’incontro tra domanda e offerta e che ciò possa avvenire in un luogo pubblico, meglio se nei centri per l’impiego. E poi – propone Mannino – nella erogazione dei contributi del Psr devono essere inserite delle premialità per le aziende che rispettano i contratti e le norme sulla sicurezza».

Twitter: @MarioBarresi

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