Morto Serafino Licata, un colonnello “scomodo”

Di Tony Zermo / 01 Luglio 2019

Roma – E’ morto a Roma il generale dei carabinieri Serafino Licata, che da tenente colonnello fu al comando dell’Arma a Catania negli anni 80. Aveva novant’anni ed è stato colpito da un ictus dal quale non è riuscito a salvarsi. La salma sarà tumulata nella cappella di famiglia a Petralia Sottana. Serafino Licata rinnova il ricordo degli anni ruggenti della mafia catanese che coinvolse non soltanto Licata, ma portò all’arresto di tre magistrati catanesi ritenuti vicini alle consorterie criminali: Pietro Perracchio, Aldo Vitale e Michele Arcoleo. Il colonnello Licata fu sospettato di avere avere avuto un ruolo nella famosa strage del casello di San Gregorio in cui morirono tre carabinieri e venne ucciso «Faccia d’angelo», un mafioso in trasferimento. La strage avvenne lo stesso giorno della visita del presidente Pertini a Catania. Serafino Licata fu ampiamente assolto, proseguì la sua brillante carriera conclusa con la promozione a generale. Anche i tre magistrati catanesi furono assolti al termine degli iter processuali e per la precisione Aldo Vitale, presidente supplente della prima sezione penale della Corte d’appello, morì tra il primo e il secondo grado. Michele Arcoleo era presidente della seconda sezione del Tribunale penale, ma il reato inizialmente attribuitogli era il meno pesante, e cioè era accusato di avere ricevuto regali in natura (polli, prosciutti, scamorze) che lui, secondo l’accusa iniziale, rivendeva ai negozianti vicini. Pietro Perracchio era il più alto in grado essendo presidente della Corte d‘assise, e venne assolto come gli altri perché non vennero provati episodi corruttivi.

Questi tre magistrati catanesi e il colonnello Serafino Licata furono arrestati il 4 dicembre 1984, giorno di Santa Barbara, assieme a circa 400 presunti mafiosi catanesi per ordine della Procura di Torino dove all’epoca c’erano i pm Marcello Maddalena e Saluzzo che si interessarono direttamente del «caso Catania». Procuratore generale di Torino, era il messinese Marzachì. Era accaduto che il killer dei cursoti catanese Salvatore Parisi, detto «Turinedda», era stato arrestato mentre uccideva l’addetto di un distributore di benzina, era il suo 13° omicidio. «Turinedda» parlò quasi subito, raccontò tutti i particolari della mafia catanese che già allora includeva i gruppi Santapaola, Ercolano, i Ferrera «Cavadduzzu», i Ferlito, quelli di «Turi cachiti», i «Carcagnusi», i Mussi di ficurinia, quelli del Malpassotu, eccetera, insomma tutta l’opprimente babele dei gruppi mafiosi collegati anche con Cosa Nostra. Il killer dei cursoti raccontò che Torino era diventata una terra di conquista dei mafiosi catanesi che avevano devastato la vecchia capitale d’Italia: arrivavano in aereo, andavano in casa di un pensionato che teneva le loro armi in una cassapanca, compivano omicidi, rapine e quant’altro e poi, dopo aver riposto le armi, se ne tornavano a Catania. «Turinedda» aggiunse che il mafioso catanese Angelo Epaminonda, detto il «Tebano», era diventato il ras delle bische di Milano e del traffico di droga, e fornì l’indirizzo al capo della Mobile di Torino, Faraone, che andò ad arrestarlo. E anche lui vuotò il sacco davanti a una bustina di cocaina.

I magistrati della Procura di Torino si recarono a Catania per completare le indagini, andarono anche al «cimitero della mafia» a Passo Martino, poi staccarono circa 400 ordini di cattura. Lo spettacolo impressionante fu quando si videro tre aerei a Fontanarossa riempirsi di gente in manette che dovevano andare a finire nel carcere torinese delle Vallette.

Il processo presieduto dal giudice Osvaldo Fassone fu drammatico con insulti, grida, minacce, tentativi di accoltellamento, perché le gabbie erano riempite di tutti i boss della mafia catanese, compresi i cosiddetti killer delle carceri, e cioè Nino Faro, Antonino Marano e Vincenzo Andraus (che poi ho rivisto al processo Tortora di Poggioreale, accusati di associazione camorristica: «Ma noi catanisi semu!»). In aula c’era anche una folta schiera di penalisti catanesi.

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Redazione
Tag: arma carabinieri catania colonnello mafia magistrati serafino licata