Nicola Morra, presidente della commissione nazionale Antimafia, quali sono le verità ancora nascoste sul delitto Mattarella?
«Se è vero che sono stati condannati i mandanti, che ora non sono più “presunti”, è altrettanto vero che la vedova di Piersanti Mattarella aveva riconosciuto in Fioravanti l’esecutore materiale dell’omicidio del marito. Poi però questa testimonianza non è stata ritenuta sufficientemente valida dai giudici. E dunque, al di là del fatto che Mannoia abbia indicato altri come responsabili, c’è ancora da far luce».
Roberto Tartaglia, ex pm a Palermo e ora suo consulente in Antimafia, ha lanciato un appello a Fioravanti. Questa moral suasion può essere decisiva per arrivare alla verità?
«Questo non glielo so dire. Certo è che tutti i tentativi debbono essere effettuati. Poi se Fioravanti o chi per lui, perché in quel mondo erano tanti a condividere certe scelte e magari anche certe informazioni, dovesse parlare male non sarebbe. Anche perché abbiamo necessità di revisionare tutto il nostro passato anche alla luce delle riflessioni assai amare che produceva lo stesso Giovanni Falcone in occasione dell’audizione del 1988, definendo “materia incandescente” ciò che girava attorno all’omicidio Mattarella. Fra estrema destra e Cosa nostra un conto è l’alternatività delle due piste, un’altra cosa è la compenetrazione, per la quale si può ragionare di una convergenza di interessi fra ambienti neri terroristici e mafia. Il che permetterebbe di far luce su tante altre vicende anche in funzione dei rapporti, non sempre lineari e puliti, e uso un eufemismo, fra alcuni servizi detti deviati e ambienti dell’estrema destra».
Ascoltare Falcone che parla di piste investigative su Mattarella negli audio è un pugno allo stomaco.
«La desecretazione di quegli atti non è un atto di grande coraggio, ma di semplice dovere civile. E, ancor di più, lo è permettere a ogni cittadino di fruire direttamente, dal portale della commissione, di tutti i materiali. Semmai la domanda è: perché altri non hanno fatto prima questa scelta? Io non sono né particolarmente coraggioso, né pavido. Leggere i resoconti scritti fa apprezzare la sensibilità investigativa e politica di Falcone, ascoltarlo ha un altro valore. Così l’audio in cui Borsellino, con enorme ironia, si domandava che Stato fosse quello che la mattina lo difendeva per poi mandarlo a morire la sera senza scorta. Le loro voci scatenano una tempesta emotiva».
Qual è l’eredità politica dell’omicidio Mattarella?
«Per me il vero problema, dal punto di vista politico, è far comprendere agli italiani, a distanza di quarant’anni dal delitto Mattarella, che noi dal 2015 abbiamo come presidente della Repubblica un parente, nello specifico il fratello, di una vittima di mafia. E questo non l’abbiamo compreso, anche perché siamo lenti a capire. Così come abbiamo dovuto innovare la nostra legislazione a seguito di sacrifici di sangue per statuire il principio della guerra fra Stato e mafia, allo stesso modo oggi dobbiamo renderci conto che non possono coesistere sullo stesso territorio due realtà che esigono fedeltà. Chi deposita la sua fede nell’associazione mafiosa di cui fa parte, mi domando fino a che punto sia cittadino italiano. Ed è questa la sfida culturale che investe il Paese, perché mi sembra che tutt’ora quella antimafia non sia avvertita come la prima emergenza».
La lotta alla mafia non appare in cima all’agenda dell’attuale governo.
«Devo dire la verità: mi sembra che ci sia ancora parecchio da fare. Abbiamo lanciato una forte azione per combattere la corruzione, che secondo me è il metodo che oggi ha sostituito l’intimidazione a causa di un mutamento culturale che ha investito noi italiani tutti. Ma è altrettanto vero che questa opera di moralizzazione della gestione della cosa pubblica vive fasi alterne: momenti felici e cadute di efficacia, magari perché qualche norma non è stata ben pensata e studiata. Abbiamo fatto qualcosa di importante con quello che tutti ricordano come lo spazzacorrotti. Però dobbiamo essere più coerenti, più ficcanti».
In che modo, con quali fatti?
«Credo che, ad esempio, nel Milleproroghe si possa fare di più in materia di trasparenza di incarichi e retribuzioni dei dirigenti apicali della pubblica amministrazione, che non devono avere solo l’obbligo di depositare i loro contratti: gli atti devono essere direttamente fruibili dai cittadini».
Il fenomeno della corruzione è un po’ più complesso, però.
«Il problema della corruzione, per citare un verbo usato da Falcone per commentare l’omicidio Mattarella, si “compenetra” con l’intimidazione mafiosa. Prima, se si diceva no ad alcune richieste, la controparte mafiosa procedeva all’intimidazione per ottenere ciò che voleva. Oggi, con codici morali sempre meno diffusi e avvertiti, e con un pensiero debole, usando una metafora vattimiana, che pervade la società, all’associazione basta pochissimo, a livello di promessa di altre utilità, per ottenere ciò che vuole. Sono sempre di più i casi in cui, persino in cambio di prestazioni sessuali, anche i magistrati svendono la loro funzione pubblica, come nel caso del procuratore di Lecce. Se si vuole combattere il malaffare, di qualunque tipo, va imposta la massima trasparenza. E non sempre anche il nostro attuale governo riesce a essere coerente ed efficace in questa azione di contrasto. Anche perché il livello di infiltrazione nelle pubbliche amministrazioni, mi dispiace dirlo, è inimmaginabile. E io vengo da una città, Cosenza, dove c’è appena stata la vicenda, quanto meno avvilente, del prefetto…»
Fra le innovazioni politiche della sua commissione c’è l’attenzione, diversa e più critica, all’antimafia taroccata, quella degli affari e delle carriere.
«Quando le dicevo che il livello di infiltrazione in tante pubbliche amministrazioni è inimmaginabile, pensavo anche a questo. Sul caso Montante, per esempio, non tutti hanno dato il giusto peso alla posizione di Confindustria nazionale, che ha visto alcuni suoi rappresentanti di punta – penso alla Marcegaglia, a Squinzi, buonanima, fino all’attuale numero uno Boccia – non esprimere mai pubblicamente alcun giudizio su quello che ha coinvolto in maniera assai triste e pesante la stessa Confindustria, a livello siciliano ma anche nazionale perché Montante aveva fatto la sua scalata diventante un pezzo importante di Viale dell’Astronomia».
È la punta di un iceberg, concorda?
«Troppe volte all’interno delle pubbliche amministrazioni troviamo situazioni di pesanti collusioni. Se è vero che un presidente del Consiglio, quanto meno fino al 1980, e il riferimento è chiaramente a Giulio Andreotti, ha intrattenuto rapporti con una struttura criminale di tal fatta, ciò deve farci capire che per decenni le collusioni hanno permesso alle organizzazioni di entrare prepotentemente all’interno dello Stato. Io, da calabrese seppur d’adozione, leggo sul “Fatto” come la ‘ndrangheta sia stata capaci, molto più efficacemente di Cosa nostra, di internazionalizzare i proventi illeciti con investimenti massicci a Milano, con rapporti d’affari con Compagnia delle Opere, in Ungheria e in Nordafrica. La nuova dimensione delle mafie, con una liquidità pressoché illimitata, riesce a fare il bello e il cattivo tempo anche su mercati finanziari importanti».
Twitter: @MarioBarresi