Morì potando un albero a Custonaci, il dolore della madre è troppo grande: «L’ho perso per 10 euro»

Di Redazione / 29 Gennaio 2020

CUSTONACI – Giovanni Biondo è morto a 21 anni il 7 gennaio scorso per portare qualche soldo a casa dove viveva con la madre, il padre, il fratello di 24 anni e la sorella di 16. Una famiglia di Custonaci, comune trapanese noto per la produzione di un pregiato marmo, senza lavoro che si arrangiava per sopravvivere. Biondo stava potando un pino quando un grosso ramo che aveva appena segato gli è caduto addosso schiacciandolo contro il tronco.

Un lavoro occasionale che non prevede il rispetto di norme di sicurezza sia da parte del committente che del lavoratore. «Quella mattina mio figlio è uscito di casa per potare un albero e prendersi la legna che vendeva 10 euro al quintale. Posso dire che mio figlio è morto per 10 euro, perchè la quantità di legna tagliata era un quintale», dice la madre della vittima, Cristina Angelo, 40 anni.

La donna ha perso un occhio a causa di un tumore a 5 mesi, ha un’invalidità del 47%, è iscritta all’ufficio di collocamento nella lista delle categorie protette ma non è stata mai chiamata. «Dopo la tragedia – spiega – il Comune ha offerto il loculo per il mio ragazzo e mi ha inserito in una borsa lavoro: ho provato a lavorare ma non ce la faccio per ora il dolore è troppo forte. Il reddito di cittadinanza? Pochissimi soldi che ci impediscono di lavorare anche in nero per avere qualche euro in più».

La donna fa un appello perchè suo marito e suo figlio abbiano un lavoro ma soprattutto chiede alle istituzioni d’intervenire perchè i giovani non muoiano lavorando per 10 euro al giorno. «Tutto è cosi assurdo, non mi sembra vero, quel piccolo uomo, con tanti sogni da realizzare non c’è più – dice – Tutto questo per colpa di un sistema sbagliato. Davanti al corpo di Giovanni ho subito pensato: ora come faccio a dirlo alla ragazza di mio figlio, loro avevano tanti sogni da realizzare, una casa, una famiglia. Sono bastati 10 minuti per buttare tutto al vento».

«Un lavoro senza sicurezza – aggiunge – solo perché la Sicilia non dà niente, questa terra che sta facendo fuggire troppi giovani. Mio figlio amava troppo restare qua. Oltre a perdere un figlio, tutti noi abbiamo perso un ragazzo che amava la vita e amava aiutare gli altri. La mia più grande preoccupazione ora, è che a casa ho un altro figlio e anche un marito disoccupati. La mattina quando apriamo gli occhi per noi è un incubo perché dobbiamo sopravvivere con un dolore troppo grande».

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