PALERMO – Fu un micidiale colpo alla testa, ricevuto mentre si allenava in palestra, a uccidere, nel dicembre del 2013, Giuseppe Lena, uno studente di appena 21 anni, originario di Cammarata (Agrigento). La conferma arriva adesso anche dalla sentenza emessa nella notte dal giudice monocratico di Palermo, Sergio Ziino. I tre imputati sono stati condannati tutti per omicidio colposo.
Giuseppe Chiarello, 45 anni e Roberto Lanza, 33 anni, i due compagni di allenamento di Lena, sono stati condannati a due anni e due mesi di carcere ciascuno, mentre Giuseppe Di Paola, 64 anni, proprietario della palestra «Harmony body system» di via Stazzone, è stato condannato a due anni e mezzo di reclusione. In un primo momento, i compagni di palestra avevano detto che Giuseppe Lena si era sentito male durante l’allenamento. Ma il medico legale, dopo l’autopsia, aveva scoperto che, in realtà, il giovane era stato colpito con violenza alla testa.
Giuseppe era un grande appassionato di arti marziali. Dopo il colpo ricevuto in testa era entrato in coma e morì dopo tre giorni di agonia senza mai riprendere conoscenza. “Un malore” dopo la seduta di allenamento di Mma, Mixed martial arts, avevano detto in palestra. Ma quel 13 dicembre di sette anni fa Giuseppe venne colpito alla testa durante l’allenamento. Un colpo ricevuto dalla persona con cui stava combattendo. Sulla cartella clinica era riportata la diagnosi di «danno ipossico-ischemico emorragico», causato proprio dal trauma cranico. L’autopsia, eseguita dal professor Paolo Procaccianti, aveva parlato di «forte trauma cranico».
La Procura, guidata prima dall’aggiunto Maurizio Scalia e poi da Claudio Corselli con la pm Ilaria Somma andò a fondo della vicenda e scoprì che non era stato un malore a uccidere il giovane Giuseppe. Ma un forte colpo alla testa. «Ci sono voluti sette lunghi anni per avere una sentenza…», dice adesso la madre di Giuseppe, Tonini Di Grigoli, avvocato, che con il marito Franco Lena, non ha mai perso una sola udienza.
«Sono state dette delle cose dai titolari della palestra a cui non abbiamo mai creduto. Noi non vogliamo un colpevole a tutti costi, ma chiediamo che chi ha delle responsabilità se ne assuma le conseguenze», avevano detto i genitori di Giuseppe, Tonina Di Grigoli e Francesco Lena, durante il lungo processo. L’unico scopo nella vita di Giuseppe era quello di fare il medico. «Un giorno gli chiesi perché e mi rispose: “Papà, perché voglio fare del bene”. Mio figlio era così. È stato lui a dirci di voler diventare donatore di organi. “Altrimenti che medico sarei”, aveva raccontato il padre Franco.
A Giuseppe, un ragazzone alto e forte, furono così espiantati cuore, polmoni e reni. Che hanno regalato la vita ad altri pazienti malati.
«Finalmente abbiamo avuto giustizia», dice l’avvocato Nino Agnello, che con i legali Sergio Lapis e Loredana Culò, ha seguito il processo per la morte del giovane Giuseppe. Mentre il padre di Giuseppe, Franco, oggi scrive sui social: «In nome del popolo italiano, il giudice dichiara colpevoli di omicidio colposo… Condanna a pene che vanno da due anni e due mesi a due anni e sei mesi. Ecco l’alba di un nuovo giorno».
Ma i genitori non vogliono aggiungere altro. «Aspettiamo il deposito delle motivazioni», si limita a dire Tonina Di Grigoli. Che avverrà tra 90 giorni, come annunciato dal giudice monocratico Sergio Ziino.