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Dopo il dispositivo della Cassazione
Montante, il “pallottoliere” sulla riduzione della pena: ora potrebbe scendere a 5-6 anni
Cadute associazione e rivelazione d’ufficio, restano accesso abusivo allo Sdi e due corruzioni
Nemici e amici di Antonello Montante hanno preso il pallottoliere già due sere fa, quando hanno avuto in mano il dispositivo della sesta sezione della Cassazione, che ha “cancellato” il reato di associazione a delinquere e dichiarato irrevocabile la responsabilità penale per due casi di corruzione e due imputazioni di accesso abusivo al sistema informatico post 2014. Il già numero 1 degli industriali siciliani si è visto abbassare la condanna da 14 anni ( del gup) a 8 anni (in Appello). Ora l’interrogativo è: quanto peserà la riduzione stabilita dagli ermellini?
La Sicilia ha fatto i suoi conti, chiedendo consulenza a diversi esperti e addetti ai lavori. Alla fine, mese più mese meno, tenendo conto che il reato cardine è la corruzione (articolo 319 del codice penale) che prevede una pena da sei a 10 anni. E considerando lo sconto di un terzo visto che siamo in abbreviato, e valorizzando le sentenze con i calcoli del gup in primo grado e della Corte d’Appello in secondo grado, la condanna riformata dovrebbe essere ricondotta a 6 anni. O a voler essere più cauti possibile si potrebbe pensare a una forbice che va dai 5 ai 6 anni e cocci. Se i pronostici sarebbero esatti significherebbe che Montante dovrebbe affrontare l’ingresso in un istituto penitenziario. Anche se dalla pena da espiare si dovranno decurtare i 21 mesi già scontati tra carcere e domiciliari.L’appello bis si articolerà sopratutto su due capi di imputazione. Il primo episodio corruttivo è avvenuto con l’imprenditore Massimo Romano e il maresciallo della Guardia di Finanza Ettore Orfanello (entrambi imputati nel “maxi” processo ancora nel limbo del primo grado) per una doppia assunzione prima in Confidi e poi in un supermercato dell’impresario nisseno. Il secondo patto è stato sancito con il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata (anche lui in ordinario) per la nomina della moglie a componente e poi presidente dello Ias di Siracusa.
Il film del puparo Montante iniziò ancora prima che scattò l’indagine “Double face” nel maggio 2018. L’odissea giudiziaria dell’imprenditore di Serradifalco parte con le dichiarazioni di sette collaboratori di giustizia. Verbali che finiscono nel fascicolo per concorso esterno in associazione mafiosa. I pentiti hanno raccontato dei presunti rapporti di Antonello Montante con la famiglia Arnone, in particolare con Vincenzo figlio del boss Paolino morto suicida nel 1992, un uomo di primo piano in Cosa nostra nel Nisseno. A parlare sono stati Antonino Giuffrè, Salvatore Ferraro, Aldo Riggi, Pietro Riggio, Salvatore Dario Di Francesco (che ha gestito gli appalti nella zona industriale di Caltanissetta), Ciro Vara e Carmelo Barbieri di Resuttano, il “postino” di Bernardo Provenzano e parente del boss Giuseppe Piddu Madonia. L’indagine per concorso esterno per Antonello Montante è stata archiviata. Rimane la certezza che tra Arnone e Montante ci siano stati rapporti forti. Lo testimonia un certificato di nozze.
La notte dell’arresto a Milano, nel mese di maggio di sei anni fa, Montante si barricò nell’appartamento distruggendo materiale cartaceo e una trentina di pen drive. Chissà se al loro interno c’erano informazioni che avrebbero potuto portare ad un altro epilogo in Corte di Cassazione. Il gip dispose per Montante i domiciliari nella villa di Serradifalco, ma qui il tentativo dell’imprenditore di depistare le indagini è continuato tant’è che gli agenti della Mobile gli hanno notificato l’aggravamento della misura e lo hanno accompagnato in carcere. È stato in quel momento che i poliziotti hanno scoperto una camera segreta, chiamata stanza della legalità, dove c’erano diari e agende con i file degli incontri avvenuti nel tempo e i nomi degli spiati.
Ma torniamo al verdetto di Roma. Con il dispositivo della Suprema Corte di due giorni fa sono stati accertati accessi abusivi e attività di dossieraggio sui nemici di Montante tra imprenditori e giornalisti. Tra i reati accertati gli accessi abusivi nei confronti dell’ex assessore regionale Nicolò Marino e dei due figli, all’ex deputato di Enna Mirello Crisafulli, ai dirigenti dell’oasi di Troina Gaetano Rabbito, Antonino Grippaldi, Gildo Matera e dell’avvocato Gioacchino Genchi. A bocca asciutta invece il Comune e l’ente camerale di Caltanissetta, La Regione e l’ordine dei giornalisti.L’ex paladino dell’antimafia era a Milano a casa della figlia, valigia pronta, quando nel pomeriggio di mercoledì ha ricevuto la telefonata del suo difensore Giuseppe Panepinto. Una chiamata in “ritardo”, dopo l’attenta lettura del dispositivo della Cassazione. Scongiurato, al momento, il rischio della detenzione (come fu invece per l’altra ex icona antimafia Silvana Saguto) Montante ha tirato un sospiro di sollievo. Intanto a Caltanissetta la schiera dei delusi è lunga. In molti ritengono che le accuse sgretolate dai giudici di Cassazione Roma abbiano in qualche modo abbiano reso vani anni di indagini e processi. Ma, come qualcuno ricorda, le sentenze vanno rispettate.