il caso
Montante, i dossier, il cerchio magico, i servizi segreti: tutti i perché della condanna
Depositate le motivazioni che hanno portato alla sentenza di otto anni
L’ex paladino dell’antimafia, finito in carcere per corruzione, mentre era tra gli uomini più potenti in Italia, grazie alle sue conoscenze istituzionali, «raccoglieva informazioni e le custodiva riservandosene l’uso». «Ciò era noto nella sua cerchia e tra le persone a lui vicine, l’uso che ne avrebbe potuto fare era chiaro». Non solo. Montante «si vantava di avere a disposizione dossier, pronti all’uso». Poteva anche contare sui Servizi segreti. Ed era persino in grado di «condizionare la politica».
La condanna a otto anni
Ecco perché l’8 luglio del 2022 Montante, che ora ha l’obbligo di dimora ad Asti, è stato condannato a 8 anni di carcere. Sei anni in meno del primo grado. I giudici parlano di un «accordo corruttivo». Le motivazioni sono state depositate solo adesso, dopo ben 500 giorni dal giorno della lettura del dispositivo. Condannati, nel luglio di un anno fa, anche alcuni componenti del suo “cerchio magico”, accusati a vario titolo di corruzione, rivelazione di notizie coperte dal segreto d’ufficio e favoreggiamento. A 5 anni era stato condannato il capo della security di Confindustria Diego Di Simone (il gup gli aveva dato 6 anni e 4 mesi), a 3 anni e 3 mesi il sostituto commissario Marco De Angelis, (4 in primo grado). Assolti, invece, il generale Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta, che in primo grado aveva avuto 3 anni, e Andrea Grassi, dirigente della prima divisione dello Sco che aveva avuto un anno e 4 mesi. Montante, secondo l’accusa, avrebbe compiuto una attività di dossieraggio per colpire gli avversari e avrebbe condizionato la politica regionale. E adesso è scritto, neo su bianco, nelle motivazioni dei giudici, a firma della Presidente Andreina Occhipinti, giudici a latere Giovambattista Tona e Alessandra Giunta.
Il sistema
«Dietro la coltre fumose della locuzione “sistema”, tanto spesso utilizzata anche in questo giudizio, nonostante sia più appropriata alla sintesi giornalistica che non all’analisi dei fatti tipici propria della giurisdizione, si perdono i percorsi che conducono ai più qualificati appoggi dei settori politici, istituzionali ed economici che hanno reso Montante una figura strategica con un ruolo di fatto e informale non classificabile nelle ordinarie e più trasparenti categorie della politica, dell’economia e delle istituzioni», scrivono i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza. E ancora: «Molte intercettazioni descrivono la fama acquisita da Antonello Montante presso soggetti imputati, indagati o estranei ai fatti oggetto dell’indagine. Se ne ricava prova del fatto che in quegli ambienti e in contesti per nulla occulti o riservati erano note non solo la sua capacità di influenza nelle più alte sfere degli ambienti istituzionali ed economici non tanto del territorio, ma della Regione e del Pese. Ed era nota anche la sua complessa rete informativa», si legge ancora nelle motivazioni.
L’influenza
E ancora: «Vi fu una sistematica attività delle più influenti autorità nel sottolineare l’importanza» dell’impegno dell’ex Presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante «la rilevanza del suo ruolo, la necessità di dare ascolto alle sue proposte e alle sue iniziative». Poi i giudici ribadiscono che Montante, con l’aiuto di alcuni complici, anche loro condannati, avrebbe avuto “ripetutamente accesso” alle “banche dati Sdi per procedere ad interrogazioni non autorizzate su imprenditori, politici, amministratori, professionisti, editori, giornalisti, collaboratori di giustizia, persone sospettate di appartenere alla criminalità organizzata, un magistrato, i suoi familiari e la sua autovettura».
Insomma, Montante, «era l’uomo potente che poteva garantire la possibilità di ottenere sostegno e favori, e l’accordo si basava sulla corrispettiva messa a disposizione da parte del pubblico ufficiale delle sue funzioni e da parte dell’imprenditore di ogni utile suo buon ufficio». Inoltre, si legge nelle motivazioni che Montante «ha approfittato di opportunità che avrebbe potuto perseguire per coltivare ambizioni, interessi particolari e al contempo anche valori civici e obiettivi ideali e invece le ha piegate per pratiche di natura illecita, unitamente al dato della sistematicità delle condotte, impedisce delle circostanze attenuanti generiche e di qualsivoglia altra attenuante».
I rapporti con la mafia
Un altro capitolo è dedicato ai suoi rapporti con la famiglia mafiosa Arnone di Serradifalco, paese di origine di Montante. «Non voleva fare emergere pubblicamente i suoi rapporti con la famiglia Arnone», scrivono i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta. «Si può dare per certo che aveva intrattenuto rapporti di familiarità e di affari con la famiglia Arnone. Sebbene sul punto Montante non abbia mai fatto specifiche ammissioni sull’esistenza e sulla natura di questi rapporti e sebbene allo stato degli atti non vi sono nelle contestazioni da valutare imputazioni che prefigurino che questi rapporti siano trascesi nell’illecito penale, ciò che conta ai fini del presente del giudizio è che Montante aveva cercato in ogni modo di evitare che essi emergessero e fossero sottoposti alla pubblica opinione».
«Anzi riteneva che chi si adoperava per farlo doveva considerarsi parte di un sodalizio a lui avverso, che mirava ad impedirgli il conseguimento dei suoi obiettivi». «Pure nell’ambito di un progetto politico imprenditoriale lecito» l’ex presidente degli industriali siciliani Antonello Montante “aveva interesse ad attrarre attorno a se persone disponibili a sostenerlo anche se del caso dedicandosi ad attività illecita”, dicono ancora i giudici. «Egli poteva mostrare – scrivono – la solida legittimazione a livello locale, vantando il consenso delle autorità e delle rappresentanze sul territorio, e a livello locale poteva guadagnare il consenso delle autorità e delle rappresentanze sul territorio, vantando l’appoggio dei vertici politici e istituzionali a livello nazionale. Egli, peraltro, nel suo interrogatorio, cercando di ridimensionare le sue indubbie abilita politico-relazionali, ha sostenuto di essere stato indotto ad assumere il ruolo che gli veniva riconosciuto dalle autorità».
Il cerchio magico
I giudici puntano la lente di ingrandimento sul cerchio magico di Montante. Tra questi c’è l’ex poliziotto Diego De Simone. «Il primo appartenente a questa rete era Diego De Simone Perricone, già appartenente alla polizia di Stato, assunto dalla “Aedificatio Spa”, su segnalazione di Montante, società che svolgeva servizi di sicurezza in favore di Confindustria nazionale. Di Simone Perricone, che non poteva più accedere alla banca dati si serviva di Marco De Angelis, in servizio alla Squadra Mobile di Palermo». Secondo i giudici «molti dei dati rinvenuti nella stanza segreta dell’abitazione di Montante provenivano da questa attività di accesso illecito».
Gli accessi «venivano effettuati da Salvatore Graceffa, vicesovrintendente della Polizia di Stato, alle quali le richieste pervenivano da De Angelis». Montante si legge ancora nella sentenza «raccoglieva informazioni e le custodiva riservandosene l’uso», «ciò era noto nella sua cerchia e tra le persone a lui vicine, l’uso che ne avrebbe potuto fare era chiaro». E ancora, scrivono i giudici «plurime fonti riferiscono che egli si vantava di avere a disposizione dossier, pronti all’uso».
Nelle motivazioni, i giudici parlano anche del ruolo dei Servizi segreti. «Il 15 giugno 2012 veniva nominato direttore dell’Aisi il generale Esposito con il quale Montante aveva un solido rapporto tale da trovare nei servizi un canale di informazioni sulle indagini a suo carico», scrivono. Ricordando che Esposito è attualmente sotto processo nello stralcio del troncone in corso davanti al Tribunale di Caltanissetta.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA