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STORIE DI RESURREZIONE/1

«Mio padre voleva pentirsi, ma fu ucciso, ora sono io che combatto Costa Nostra», il riscatto della figlia dell’ex mafioso

Il difficile percorso di Luana Ilardo che ora va in giro per l'Italia a «parlare di legalità ai giovani per proseguire la sua scelta di rinascita»

Di Laura Distefano |

Morire e poi rinascere. Due volte. Luana Ilardo aveva quindici anni quando ha visto suo padre, assassinato da un commando di sicari, sull’asfalto in via Quintino Sella a Catania. In quella strada, qualche anno fa, la giovane donna ha portato una delegazione della Commissione Antimafia che fu guidata da Nicola Morra. In quel punto si è consumato un delitto che nasconde molti dei misteri d’Italia collegati ai rapporti deviati tra Costa nostra e pezzi delle Istituzioni.

Il padre Luigi Ilardo fu un mafioso, parente della potente famiglia di Cosa nostra Madonia di Caltanissetta poteva colloquiare con i vertici della cupola, che però a un certo punto capì che voleva allontanarsi da quella melma velenosa che lo aveva reso un morto vivente. E così nel 1995 Ilardo divenne la fonte Oriente, prima della Dia e poi del Ros. A Michele Riccio fece nomi e cognomi. Permise di far catturare latitanti e boss potenti. Portò i carabinieri anche a un passo dal covo di Bernardo Provenzano. Il blitz senza un motivo apparente però non partì. Per le sentenze il «fatto non costituisce reato». Ilardo decise di non fare più il confidente – troppo pericoloso muoversi da l’infiltrato – ma di essere a pieno titolo un collaboratore di giustizia. Una riunione romana, di cui non esiste un verbale se non degli appunti poi scomparsi in un trasloco, sancì quella scelta di rinascita.

Il solco

Una rinascita che avrebbe portato anche i suoi figli e la sua famiglia verso un percorso lontano dalla mafia. Ma non ebbe il tempo di assaporare la sua seconda vita: lo uccisero. Ma quel «solco tracciato da lui ho deciso di prenderlo io e di farlo lottando contro la mafia, parlando con i giovani di legalità e far capire a loro che una scelta è sempre possibile. Che non è un cognome a identificarci, ma siamo noi a fare il nostro destino».

Non è stato un percorso facile. «All’inizio ho avuto paura. Poi però qualcosa mi ha fatto capire che dovevo trasformare il mio dolore in azione – dice Luana – ho deciso di continuare sulle orme di mio padre e di rendere viva la sua eredità. E cioè contrastare le mafie in ogni sua forma, lottare mettendoci la faccia per avere la verità su quanto è accaduto a mio padre perché lì si annidano tante nefandezze di questo sistema e dall’altra parte operare a favore dello Stato e delle Istituzioni sane a cui mio padre si era affidato. E questo l’ho fatto nonostante quanto è accaduto».

L’ex famiglia

Luana definisce i Madonia la sua «ex famiglia». Quando ha cominciato a esporsi, scrivendo un libro e diventando parte attiva in iniziative antiracket e antimafia, Luana Luana non si è mai fermata «nonostante avesse ben chiaro che la sua ex famiglia l’avrebbe additata come traditrice e pentita come il padre». Una sentenza irrevocabile poi conferma che la condanna a morte di suo padre è passata anche da loro.«Il testamento di mio padre è nelle registrazioni di Michele Riccio. Lì certificò la sua decisione a voler voltare le spalle a quel veleno. Confessò che se avesse avuto il potere di tornare indietro avrebbe fatto scelte diverse. La mafia incatena, rende schiavi. L’unico destino di un mafioso è quello di finire in carcere o essere ammazzato. Mio padre aveva deciso di liberare sé stesso e la sua famiglia, ma poteva consegnare alle Istituzioni verità che forse nemmeno oggi siamo pronti ad affrontare. E per questo è stato lasciato solo e ammazzato. Diffondere messaggi di legalità soprattutto tra i giovani è uno dei mezzi che ho per sentirlo vicino. Perché lui è l’esempio vivente che cambiare vita si può. Che lo Stato ci dà l’occasione di poter cambiare».

I giovani

Luana Ilardo va in tutta Italia a raccontare la sua storia. E si reca anche in quelle scuole di quartieri a rischio dove molti giovani sembrano votati a diventare manovalanza del crimine. «Ai giovani bisogna parlare al loro cuore con umanità. Non si deve pretendere che diventino eroi, ma che decidano di vivere nella legalità. Io a loro dico sempre che non è necessario puntare il dito verso i propri familiari per decidere di cambiare vita. Lo studio e la cultura, dico sempre, sono le uniche cose che vi renderanno liberi perché vi permetteranno di essere chiunque vogliate essere. Alimentando il sogno nel loro cuore sconfiggeremo la melma della mafia. Mio padre, che aveva vissuto in quella palude, aveva scelto di uscirne. Io sono la voce, la testimonianza vivente, di quella scelta di riscatto e rinascita».

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