Lo scrive la commissione parlamentare d’inchiesta sui migranti, al termine di due anni e mezzo di lavoro, nelle 132 pagine di una relazione approvata a ridosso dello scioglimento delle Camere e frutto di un complicato compromesso sul testo finale, votato da Pd e M5S (contraria la Lega, astensione di Forza Italia). Nelle conclusioni una sostanziale bocciatura della gestione sistema: «Gli interventi del settore, pur tenendo conto delle differenze territoriali e delle differenze tra i singoli circuiti, mancano spesso di una visione e di una strategia uniformi, col rischio di avere come risultato solo l’aumento dei posti in accoglienza o addirittura il solo protrarsi del periodo di permanenza nei centri». In altre parole, «l’accoglienza nel nostro Paese spesso non sembra improntata a favorire l’accompagnamento e l’integrazione ma piuttosto limitata esclusivamente alle funzioni di soccorso e prima accoglienza».
In sostanza, «la crescente rilevanza del fenomeno impone non solo di procedere all’incremento della complessiva capacità ricettiva, ma anche al ripensamento e al miglioramento della misure di accoglienza che troppo spesso si dimostrano fallimentari – si legge nella relazione della commissione d’inchiesta, di cui è stato relatore il dem Paolo Beni – perché non producono una vera inclusione delle persone accolte, nonostante l’impiego considerevole di risorse pubbliche».
La relazione, frutto anche di numerose ispezioni sul campo, ripercorre l’intera “filiera” dell’accoglienza: dallo sbarco all’uscita dal sistema (con il permesso di soggiorno o con l’ordine di allontanamento), passando attraverso i tre diversi tipi di centri. Un primo elemento interessante è statistico. La rielaborazione dei dati del Viminale, aggiornati al 1º dicembre, sulle presenze: diminuiscono gli sbarchi, ma aumentano le presenze nei centri. Nel 2017 nelle strutture italiane ci sono 186.833 persone (nello stesso periodo del 2016 erano 176.257). La stragrande maggioranza (80%) nelle centri temporanei, appena il 13% negli Sprar. Nelle strutture della Sicilia il 7,41% dei migranti ospitati nel Paese, a fronte del 14,31% della Lombardia, prima regione. Il dettaglio siciliano: 6.022 migranti nelle strutture temporanee, 296 negli hotspot (tre dei quattro italiani: Lampedusa, Pozzallo e Trapani), 3.445 nei centri di prima accoglienza, 4.090 negli Sprar.
E l’impatto dell’accoglienza sul territorio? I 172.041 migranti censiti ad agosto 2017 sono distribuiti in appena il 37,18% del totale dei comuni, all’interno di 9.205 strutture affidate a 1.874 enti gestori. La solidarietà italiana, dunque, è piuttosto a macchia di leopardo. E in Sicilia, considerata il simbolo dell’accoglienza, i migranti sono ospitati in appena 74 comuni su 390: il 18,97%, con 2,2 milioni di cittadini “coinvolti”. Il rapporto migranti/residenti è del 4,5% (media nazionale 4,1%), la regione più ospitale è il Molise con il 15,1%. Non a caso la commissione parlamentare lancia «il tema dell’obbligo di gestire l’accoglienza per gli enti locali», auspicando «un ruolo di coordinamento» da parte delle Regioni con a monte una «Agenzia nazionale dell’accoglienza».
Anche perché – e qui veniamo a una delle denunce più importanti della commissione – 7 centri su 10 sono in mano ai privati. Business fa rima con emergenza. Il sistema rimane quasi completamente sotto l’ombrello dell’emergenza: il 91% dei richiedenti sono ospitati nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria), ovvero gli ex Cara come a Mineo, «apparsi deficitari sotto l’aspetto della qualità dei servizi erogati», mentre c’è una «evidente difficoltà» a coprire i posti che sono disponibili nei centri Sprar che pure sarebbero già finanziati. Al 30 novembre su 31.270 posti disponibili nella cosiddetta accoglienza diffusa, 6.302 restano vuoti. La metà dei profughi sono ospitati in appartamenti o casolari, il 23% in strutture alberghiere. Il 72% dei posti dove si accoglie sono in regime di locazione. Infine, il nodo degli appalti. Come si mettono le mani sugli appalti per far arrivare quei migranti che – secondo Salvatore Buzzi, ras di Mafia Capitale «rendono più della droga» – nella miriade di strutture private? Un capitolo delicato del dossier riguarda l’affidamento. Tema sollecitato dall’Anticorruzione di Raffaele Cantone, audito dalla commissione. Il 58% delle 9.205 procedure è concentrato fra Lombardia, Veneto, Toscana, Veneto ed Emilia-Romagna, mentre il picco degli affidamenti diretti è in Calabria, in cui im un caso su due non c’è gara. E la Sicilia? Su 129 strutture (il 20% del totale nazionale) 90 sono con procedura aperta e 26 con affidamento diretto, 11 con procedure negoziata dopo la pubblicazione del bando. Non ci sono dati – e questo è un deficit della relazione – sul controvalore degli appalti a livello nazionale e regionale.
Twitter: @MarioBarresi