MESSINA. La battuta più fulminante – e fors’anche la più efficace – arriva alle cinque della sera. «L’arcobaleno è diventato grigio topo, la rivoluzione s’è risolta in una questione di scartoffie fra ragionieri».
Fonte anonima, ma autorevole. Suggestioni, mezze verità, fors’anche accanimento terapeutico contro un sindaco che quasi tutti, compresi i più feroci detrattori, continuano a definire «onesto e perbene». No, questa non è la favola horror di un uomo scalzo che finisce col sedere per terra. Lo stato comatoso della terza città siciliana non è soltanto un pallottoliere con le palle che girano impazzite, né un conto (seppur spaventoso) che non torna. Arriviamo a Messina in una giornata particolare. Credendo di trovarla senz’acqua.
E così è: tornerà, con zoppicante lentezza, nelle prossime ore dopo la riparazione dell’ennesimo guasto alla condotta che asseta i cittadini. Non quelli dei quartieri residenziali, né quelli delle villette, con i serbatoi pieni e i portafogli altrettanto capienti per comprare l’acqua al fiorente mercato delle autobotti. Ma quelli dei quartieri più popolari, che – oltretutto – annaspano fra l’immondizia dopo l’ennesimo sciopero dei netturbini. Gli ultimi. Quelli a cui continua a guardare, con sincero slancio, il sindaco Renato Accorinti. Quelli dei quartieri popolari, dal Cep a Camaro, passando per Giostra e Santa Lucia Sopra Contesse. Quelli, oggi più che mai, abbandonati.
L’acqua tornerà, prima o poi. Così come passerà il trambusto della sentenza sull’alluvione di Giamplileri (proprio ieri, in questa strana giornata plumbea, è arrivata la condanna a sei anni per omicidio colposo dell’ex sindaco Peppino Buzzanca). No, la fotografia che racconta Messina oggi non è quella dell’eroico operaio dell’Amam, che sgorga dal terriccio della condotta ferita. Né quella dei bidoni colorati sotto l’autobotte. È il municipio assediato dalle pettorine arancioni degli operai di MessinAmbiente, che solo ieri sono tornati per le strade dopo un fermo di due giorni, con 500 tonnellate di spazzatura accumulate fuori dai cassonetti.
Il Comune deve 1,4 milioni all’azienda partecipata in liquidazione, che già boccheggia di suo. Al netto dei guai giudiziari, che ieri – sempre in questa grottesca giornata in cui sembra che a Messina succeda di tutto – si sono materializzati con il rinvio a giudizio, per corruzione, dell’ex liquidatore e dell’ex responsabile amministrativo. Casse vuote, mezzi senza benzina, stipendi in arretrato, fornitori che bussano alla porta. E così sette operai, domenica mattina, si sono rifiutati di effettuare un secondo viaggio verso la discarica di Motta Sant’Anastasia. «Un grave atto d’insubordinazione», l’ha definito il commissario liquidatore Giovanni Calabrò. Ma magari è “soltanto” disperazione. Come quella degli operatori dei servizi sociali, dei lavoratori dell’Ato3, dei dipendenti comunali, degli addetti delle cooperative che gestiscono servizi comunali. «Siamo pronti a dare vita a una mobilitazione senza precedenti – dice Clara Crocè, segretaria Fp Cgil – contro una politica che fa il gioco dello scaricabarile».
Se fosse un gioco, allora saremmo al luna park. Nel tunnel degli orrori. Ci aspettavamo di trovare una città senz’acqua. Ma la cosa che ci colpisce di più è che sembra senz’anima. Senza speranza. Senza voglia di risollevarsi. Il racconto di una Messina in ginocchio è anche nelle scene, minime e gigantesche, di quotidianità. Come Stefania Salvino, una distinta casalinga (disperata), che entra in una salumeria di via Garibaldi e chiede «non più di tre fettine di prosciutto cotto, quello in offerta». E che colpa ha il sindaco Accorinti se la signora, austera e dignitosa, paga con le monetine da 10 e 20 centesimi e fugge come se fosse una ladra? Nessuna. O forse tante. Perché qui torniamo alla contesa fra i ragionieri. La madre di tutte le battaglie, il cuore di tutti i problemi. Il Comune è sull’orlo del default. Il debito accumulato negli anni – talmente tanti che i tre del sindaco pacifista sono poca cosa – per la Corte dei conti è di circa 260 milioni. «Ma l’indebitamento complessivo ammonta a circa 450 milioni, più altre passività stimate in 100 milioni, che porta il totale a oltre mezzo miliardo di euro», certifica Luca Eller Vainicher, assessore super tecnico, arrivato dalla Toscana per «una “mission impossible”, che per me, conti alla mano, è “possible” perché i flussi tendenziali sono in miglioramento».
L’assessore al Bilancio, assieme al superburocrate plenipotenziario Antonio Le Donne, segretario e direttore generale del Comune che l’ha fortemente voluto a Messina, e al sindaco Accorinti, è protagonista di uno scontro con il collegio dei revisori dei conti. “Reo” di non aver approvato il bilancio preventivo 2015 (non è un refuso di stampa: ad aprile 2016 Messina è l’unico Comune d’Italia a dover “prevedere” i conti dell’anno scorso) e di bloccare dunque il trasferimento di 70 milioni da Roma. Sabato scorso, con un comunicato notturno, il sindaco ha convocato una conferenza stampa, per «un’operazione di verità e di trasparenza».
E domenica ha vuotato il sacco: «È uno dei momenti più delicati del nostro mandato la mancanza di approvazione del bilancio previsionale 2015 può farci andare al dissesto, noi abbiamo fatto tutto in regola se qualcuno ritiene che abbiamo fatto degli abusi vado in tribunale. Siamo in ritardo e mi scuso, ora speriamo si esiti subito tutto anche per poter pagare gli stipendi». Il collegio dei revisori ritiene «non veritiero» il documento contabile, approvato dalla giunta il 31 marzo e poi rimodulato il 21 aprile. L’oggetto del contendere c’è lo sforamento delle spese nel 2015 rispetto ai dodicesimi dell’anno precedente. Una tesi che Eller ridimensiona: «Abbiamo sforato solo due capitoli, entro i limiti di legge, non si può cercare il pelo nell’uovo».
E, giurando che «se ci fossero porcherie, io stesso le denuncerei alla Corte dei conti e alle autorità competenti», ricorda che «il parere è obbligatorio ma non vincolante» e auspica anche una via d’uscita, rapida, magari con «un parere positivo, anche se con una serie di rilievi». Apriti cielo. Dario Zaccone, presidente del collegio dei revisori dei conti, dice che l’organo controllore «non risponderà certo alle indicazioni del soggetto controllato», rispedendo al mittente «ogni forma di pressione rispetto alle serene valutazioni» del collegio, che «non concorda certo scadenze con l’amministrazione, a meno che non si voglia impedire il controllo», cosa che non ritiene sia «nella volontà dell’amministrazione, anche perché configura un reato».
Una doccia fredda. Come quella che arriva dal presidente dell’Ordine dei commercialisti, Enrico Spicuzza: «Io sono figlio di operaio e so cosa significa quando non arriva lo stipendio. Ma non si può far passare il messaggio che sono a rischio 3mila stipendi per colpa dei revisori dei conti. I bilanci si fanno con le norme di finanza pubblica, non con l’immaginazione e la fantasia». E ora che succederà? La scadenza del 30 aprile, per l’invio della certificazione a Roma, è slittata al 31 maggio. A Messina ci si organizza, con due gruppi di lavoro, uno per riformulare il preventivo 2015, un altro per predisporre il consuntivo. L’emergenza stipendi si tamponerà con un finanziamento regionale atteso a fine mese e raschiando ogni centesimo da altri capitoli. Ma il default è dietro l’angolo.
E le responsabilità restano tutte lì: «La giunta dello scaricabarile amministra Palazzo Zanca da tre anni “a sua insaputa”: i bilanci li fanno i fantasmi, i folletti mettono bastoni fra le ruote e ogni cosa viene pilotata da forze oscure del male», ironizza Rosaria Brancato, direttore di TempoStretto, una giornalista in prima linea oggetto anche di minacce e intimidazioni. Ma c’è già chi sta lavorando al dopo-Accorinti. Il «sindaco Free Tibet», come lo chiama persino il segretario della Cgil, Lillo Oceano, nel denunciare il «misero fallimento di tutti i tentativi messi in atto da fuoriclasse oriundi o stranieri e da badanti toscani», è assediato. I suoi fedelissimi, fuori e dentro il consiglio comunale, l’hanno abbandonato. Ma allora perché non arriva la sfiducia al sindaco “grillino senza Grillo”? Perché, paradossalmente, a mantenere l’ossigeno contingentato ad Accorinti sono proprio quelli che stanno lavorando all’operazione “ritorno al futuro”.
E non è un caso che proprio nella tentacolare Messina si potrà aprire il cantiere della riunificazione del vecchio centrodestra. Magari con il remake dell’asse fra Gianpiero D’Alia e Francantonio Genovese (quest’ultimo ha dissanguato il Pd messinese, portando le truppe in Forza Italia) per chiudere la parentesi di Accorinti. Quando? Non subito. Ma in autunno, magari, i tempi saranno maturi. Dall’arcobaleno al grigio. E poi cosa ci sarà? «Si stava meglio quando si stava peggio», dicono a Messina. Prima di aggiungere: «Ma al peggio non c’è mai fine».
twitter: @MarioBarresi