Matteo Messina Denaro chiude le porte ai pm: «Non mi pento. Non ho ucciso, ma parlavo con Provenzano»

Di Redazione / 08 Agosto 2023

Se qualcuno, soprattutto nei giorni successivi alla cattura, sperava che Matteo Messina Denaro potesse collaborare con la giustizia per fare luce sugli anni bui dell’ascesa al potere dei Corleonesi e della scia di sangue degli ultimi 40 anni, comprese le stragi, si è sbagliato e pure di grosso.

«Io non mi farò mai pentito» ha infatti detto senza esitazioni il boss Matteo Messina Denaro interrogato subito dopo l’arresto dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido. Il padrino ha negato di aver commesso stragi e omicidi e di aver trafficato in droga,

ma ha ammesso di aver avuto una corrispondenza con il capomafia Bernardo Provenzano. Il verbale dell’interrogatorio è stato depositato oggi.

Mi avete preso perché malato

«Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia» ha detto ai pm nel corso di un interrogatorio Messina Denaro. Il capomafia ha raccontato che fin quando ha potuto ha vissuto rinunciando alla tecnologia, sapendo che sarebbe stato un punto debole. Ma poi ha dovuto cedere.

Ai magistrati, per spiegare il cambio di passo sulla gestione della latitanza il 13 febbraio scorso ha citato il proverbio ebraico: «Se vuoi nascondere un albero piantalo in una foresta». «Ora che ho la malattia e non posso stare più fuori e debbo ritornare qua…», si è detto dopo aver scoperto di avere il tumore «allora – ha raccontato – mi metto a fare una vita da albero piantato in mezzo alla foresta, allora se voi dovete arrestare tutte le persone che hanno avuto a che fare con me a Campobello, penso che dovete arrestare da due a tremila persone: di questo si tratta». Ma, ha precisato, in paese in pochi conoscevano la sua vera identità. «A Campobello mi sono creato un’altra identità: Francesco». «Giocavo a poker, mangiavo al ristorante, andavo a giocare», ha spiegato. Una vita normale per passare inosservato.

La mafia non la conosco

«Io mi sento uomo d’onore ma non come mafioso. Cosa nostra la conosco dai giornali». Così Matteo Messina Denaro nel lungo interrogatorio depositato oggi e reso dopo la cattura al procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e all’aggiunto Paolo Guido. «La mia vita non è stata sedentaria, è stata una vita molto avventurosa, movimentata», ha detto ammettendo la latitanza e di aver comprato una pistola, ma di
non averla mai usata e di non aver fatto omicidi e stragi.

«E lei non ha mai avuto a che fare Cosa nostra?», gli chiedono i magistrati.

«Non lo so magari ci facevo affari e non sapevo che era Cosa nostra», risponde. «Quali reati ha commesso?», lo incalzano. «Non quelli di cui mi accusano: stragi e omicidi. Non c’entro nella maniera più assoluta. Poi mi possono accusare di qualsiasi cosa, io che ci posso fare».

Non ho ucciso il piccolo Di Matteo

«Una cosa fatemela dire. Forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo…ma con l’omicidio del bambino non c’entro»: lo dice senza esitazioni il boss Matteo Messina Denaro interrogato dopo l’arresto dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, parlando dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito rapito e sciolto nell’acido.

«Lei mi insegna che un sequestro di persona ha una sua finalità, che esclude sempre l’uccisione dell’ostaggio, perché un sequestro a cosa serve? Ad uno scambio: tu mi dai questo ed io do l’ostaggio; il sequestro non è mai finalizzato all’uccisione- spiega il boss – Sequestrano questo bambino – quindi io sono come mandante, mandante del sequestro – sequestrano questo bambino, lui (Giovanni Brusca ndr) non dice che c’ero io». «Ad un tratto lui resta solo in tutta questa situazione, passa del tempo, un anno/due anni, dice si trova davanti a televisione ed il telegiornale dà la notizia di… che lui era stato condannato all’ergastolo per l’uccisione dell’esattore Ignazio Salvo, ci siamo?» , spiega. A quel punto secondo la narrazione di Messina Denaro, Brusca, fuori di sé per la condanna all’ergastolo per l’omicidio Salvo, decreta la morte del bambino. «Ma… allora, a tutta coscienza – dice Messina Denaro – , se io devo andare in quel processo, che è ormai di Cassazione, devo andare per sequestro di persona. Quindi a me perché mi mettete – non voi, il sistema – come mandante per l’omicidio, quando lui dice che poi non ci siamo visti più? Decise tutto lui, per l’ira dell’ergastolo che prese. – conclude – Ed io mi sento appioppare un omicidio, invece secondo me mi devono appioppare il sequestro di persona; non lo faccio per una questione di 30 anni o ergastolo, per una questione di principio. E poi a tutti… cioè loro lo hanno ammazzato, lo hanno sciolto nell’acido e alla fine quello a pagare sono io? Cioè, ma ingiustizie quante ne devo subire?». I pm tornano a chiedergli se c’entri nella vicenda e lui ribadisce di no.

Le offese a Falcone

«Io non è che volevo offendere il giudice Falcone, non mi interessa… Il punto qual è? Che io ce l’avevo con quella metodologia di commemorazione. Allora, se invece del giudice fosse stato Garibaldi, la mia reazione sempre quella sarebbe stata, perché non si possono permettere di bloccare un’autostrada per decine di chilometri: cosi vi fate odiare» ha poi detto Matteo Messina Denaro commentando la chat audio in cui, fermo nel traffico per le commemorazioni della strage di Capaci, imprecava. L’audio era stato inviato a una paziente con cui faceva la chemioterapia durante la latitanza.

Il concorso esterno “reato farlocco”

«Il mafioso riservato è tipo un altro argomento di legge, se vogliamo dire, farlocco, come il concorso esterno, io preferirei, se fosse una mia decisione: tu favorisci… il favoreggiamento prende da 4 a 5 anni, se favorisci un mafioso sono 12 anni; meglio così: si leva il farlocco di torno» ha anche aggiunto il boss parlando con i pm che gli chiedevano di Andrea Bonafede, accusato di essere un uomo d’onore riservato e di aver prestato al padrino l’identità. Il capomafia critica sia la definizione di uomo d’onore riservato che il concorso esterno in associazione mafiosa.

Mio padre mercante d’arte

«Vivo bene di mio, di famiglia. Mio padre era un mercante d’arte» ha detto Messina Denaro rispondendo il 13 febbraio nel corso del primo interrogatorio dopo l’arresto, ai pm di Palermo che gli chiedevano se avesse mai trafficato in droga. Il padre del capomafia, Francesco Messina Denaro, padrino di Castelvetrano, è morto da latitante ed è ritenuto uno dei fedelissimi dei corleonesi di Totò Riina. «Io sono appassionato di storia antica da Roma a salire – racconta il capomafia ai magistrati – poi mio padre era mercante d’arte e dove sto io c’è Selinunte. Mio padre non è che ci andava a scavare però a Selinunte a quell’epoca c’erano mille persone e scavavano tutte. In genere il 100% delle opere le comprava mio padre che poi venivano vendute in Svizzera e poi arrivavano dalla Svizzera dovunque: in Arabia, negli Emirati e noi vedevamo cose che passavano da mio padre nei musei americani».

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Pubblicato da:
Fabio Russello
Tag: matteo messina denaro