IL REPORTAGE
Matteo Messina Denaro, affari miliardari e coperture sul filo tra mafia e massoneria
La rete di protezione che va oltre la «borghesia mafiosa». Dalla loggia illegale “Iside 2” agli attuali iscritti regolari: quali sono i legami segreti e quali gli interessi comuni?
Nessuna sorpresa. Qualche sorriso complice. E una diffusa consapevolezza amara. Quando persino il Grande Oriente d’Italia esce allo scoperto, ufficializzando la «doverosa sospensione» di Alfonso Tumbarello (il medico, oggi in pensione, che ha firmato decine di richieste e certificati utili per le cure di Andrea Bonafede, alias di Matteo Messina Denaro), a Trapani è come la scoperta dell’acqua calda riscaldata. «Io, da giovane comunista, la massoneria la combattevo a viso scoperto assieme agli altri compagni», ricorda Filippo Cutrona, ex segretario della Cgil di Trapani. Che poi sospira: «Oggi, lo comprendo bene, è tutto più complicato».
Anche perché qui rischia di essere vero il “postulato” di Teresa Principato, ex magistrata che ha inseguito ’U Siccu in tutto il mondo, anche con qualche errore nella scelta di uomini e tesi su cui investire, fino al 2017, seguendo le tracce dei “compassi” globalizzati «La più grande copertura per Messina Denaro è quella della massoneria, dentro la quale stavano anche prefetti e questori». E questa è una delle zone a più alta densità di logge: 22 fra il Trapanese (di cui due a Campobello e una a Castelvetrano) e l’Agrigentino, in collegamento simbiotico, sul centinaio di quelle ufficiali registrate in tutta la Sicilia. In un’inchiesta dell’allora procuratore Marcello Viola si censivano 19 logge nel Trapanese di cui 6 a Castevetrano. Comune passato da uno scioglimento all’altro, con una statistica contenuta nella relazione dell’Antimafia presieduta da Rosi Bindi; fra il 2009 e il 2018 i consiglieri e gli assessori iscritti a logge sono 21.
Per questo il fatto che Tumbarello, indagato dalla Procura di Palermo per procurata inosservata della pena aggravata dalla circostanza di aver favorito un mafioso, possa essere dentro questa storia fino al collo non sorprende nessuno. Così come la scoperta che lo stesso medico (già consigliere provinciale dell’Udc, mancato deputato regionale e sindaco di Campobello) sia un professionista di fiducia proprio dei magistrati: 52 incarichi per perizie, dal 2016 al 2019, come scoperto da Avvenire, per 27mila euro.
Ma è soltanto un esempio minimale di normalità. Perché il vero rapporto, quello ad alti livelli, si fonda sugli affari. Soprattutto centri commerciali, energia e rifiuti, ma anche sanità privata e agricoltura. «Con un’imprenditoria che, quando non è infiltrata dalla criminalità organizzata, strizza l’occhio alla mafia, più per convenienza che per paura, senza che fino a poco tempo fa le associazioni di categoria dicessero nulla. E in questo contesto – afferma il battagliero sindacalista – la massoneria è una sponda ideale, perché garantisce refluenze nelle politica e nelle istituzioni, oltre che nell’economia e nelle professioni». Per Cutrona «non esiste una massoneria buona e una cattiva: tutto ciò che è segreto nasconde una potenziale zona grigia». Da “Iside 2”, la loggia illegale scoperta negli Anni 80 (con ex ministri, vice prefetti, vice questori, bancari, consiglieri comunali e provinciali, ex sindaci, imprenditori) ai massoni regolari registrati in Questura. In mezzo, con le dovute differenze, c’è di tutto.
Ma c’è chi invece parte da un’altra angolatura. «Io sono un magistrato e quindi per me il “patto” mafia-massoneria è solo un’ipotesi investigativa, finora non dimostrata», taglia corto Massimo Russo. Il magistrato, mazarese d’origine, lavorò con Paolo Borsellino a Marsala. E poi Messina Denaro l’ha inseguito e fatto condannare a un paio d’ergastoli. «Ha goduto di una protezione sociale: per molti cittadini pesava più il “patronato” di Cosa Nostra che non il prestigio dello Stato. Le protezioni? Quando si parla di mafia e politica, si facciano i nomi e i cognomi: Tonino D’Alì (condannato a sei anni per concorso esterno, ndr) è stato a lungo senatore, ma anche sottosegretario all’Interno». Russo riflette sul concetto di «normalità della mafia». E ci lascia con un doppio interrogativo: «Perché Messina Denaro, che in altri periodi e con altre identità girava il mondo, quando capisce che è malato non si fa curare in un centro d’eccellenza, perché il primo intervento sul tumore lo fa in una struttura che non ha nemmeno la rianimazione?».