Cronaca
Mariolina e Alessandra “strangolate” dal cordone ombelicale: il movente della follia
DAL NOSTRO INVIATO
SANTO STEFANO DI CAMASTRA – È la favola, triste, del bruco che non avrà più le ali per diventare farfalla.
È la sindrome di Medea, l’amore elevato a tale morbosità da diventare un irrefrenabile istinto di morte.
È il film horror ambientato nella casa nella prateria – anzi: in un profondo “fosso” da dove si vede soltanto la montagna che ti sovrasta fino quasi a non farti scorgere nemmeno il cielo da nessuno dei quattro lati – diventata prima il bunker per proteggersi dai pericoli (e dalle ossessioni) della pandemia e poi la scena del crimine.
Sulla tesi dell’omicidio-suicidio, quando il cielo di Santo Stefano di Camastra perde i toni pastello da Csi Miami e ridiventa un po’ più cupo, i dubbi sembrano tramontare addosso al mare blu scuro. Il punto, in attesa dell’autopsia di mercoledì (che, ad esempio, dovrà chiarire se e come la madre avrebbe ucciso la figlia, che pesava più di sessanta chili), è il movente. Tanto oscuro da poter diventare adamantino, tanto chiaro da apparire misterioso.
Mariolina e Alessandra. Madre e figlia, tanto unite da sembrare un’unica persona. «Certe volte le incontravi in paese mentre camminavano mano nella mano», raccontano in un bar sul lungomare.
Per Mariolina, che nella carta d’identità social si definisce «mamma, moglie e casalinga a tempo pieno», Alessandra è l’unica ragione di vita. L’ha cresciuta, con le focacce e le torte fatte in casa, insegnandole l’amore per gli animali e la dedizione per la scuola. Una «famiglia normale», nella definizione terribilmente banale che di solito si usa in questi casi, con un’esistenza scandita da riti semplici e rarefatti -la domenica al Parco Corolla, la gita al mare sulla spiaggia di Ponte degli Orti, la spedizione al centro commerciale di Palermo o alla fiera agricola di San Giuseppe Jato – cuciti sui successi dell’“alunna modello” Alessandra.
Ed è fra i banchi che si trovano alcune sparute mollichine di pane per capirci qualcosa. A Santo Stefano – dove fino a sabato sera si discettava soprattutto della gogna social(e) riservata a una ventenne “rea” di aver rivelato la propria positività al Covid – la domenica pomeriggio è un chiacchiericcio sordido. Che, di sussurro in sussurro, si spinge fino a ipotizzare che la follia sia alimentata da un disagio vissuto (forse più dalla madre che dalla figlia) proprio a scuola.
«Può darsi che fosse soltanto invidia perché era una secchiona che aveva tutti nove e dieci», certifica il sindaco Francesco Re. Raccontando l’ultimo incontro con quella madre che «forse le stava un po’ troppo addosso», avvenuto al supermercato alle 12,45 del giorno della tragedia. «Ci siamo incontrati, anzi praticamente urtati, mentre io entravo e lei usciva dal supermercato». Ma dopo lo “scontro” Mariolina «mi ha salutato con la stessa serenità di sempre», ricorda il sindaco.
Il paese è piccolo e la gente mormora. Soprattutto quando il web rilancia la frase che don Calogero Calanni ha appena consegnato all’Adnkronos: Alessandra «si sentiva spesso emarginata, non era accolta positivamente dal contesto scolastico».
Ma poco dopo il parroco della chiesa di San Nicola ritratta, sempre via agenzia: «In base alla dichiarazione frettolosamente rilasciata, dichiaro di non essere a conoscenza delle relazioni della ragazza all’interno della scuola».
La teoria del prete, già sibilata da qualcuno in paese, è categoricamente smentita dal dirigente scolastico Calogero Antoci: «Alessandra non era discriminata, né dai compagni né dal corpo docente», taglia corto. «Nessun episodio di bullismo – precisa – così come è bene smentire anche le voci infondate di un deficit scolastico. Addirittura qualcuno ha parlato di sostegno, per una studentessa d’eccellenza per la quale proporrò la consegna della licenza media alla memoria col massimo dei voti».
In mezzo, in un pomeriggio in cui la “chat delle mamme” ribolle di rabbia, anche una telefonata di fuoco fra Antoci e don Calanni. Forse non finisce qui, il derby delle responsabilità fra scuola e chiesa.
Oggi il preside del liceo artistico, che ingloba la media frequentata da Alessandra, ha convocato un’assemblea d’istituto: «Ho chiesto al sindaco il supporto di uno psicologo per spiegare ai nostri ragazzi quello che è successo».
La comunità scolastica si chiude a riccio. E apre l’album del cuore. Di tanti docenti, soprattutto, di oggi e di ieri. Come Lucia Salerno che di Alessandra singhiozza: «Ricorderò per sempre il suo dolce sorriso». Alessia Esposito la descrive come «un’allieva sempre presente, puntuale, amorevole e preparata», rivelando come «il disegno» fosse «una delle sue più grandi passioni». Tant’è che, come conferma il preside Antoci, Alessandra aveva già chiesto la preiscrizione per il primo anno del liceo artistico, «il che dimostra come non ci fosse alcun problema con la scuola, visto che aveva deciso di continuare nello stesso istituto, nel nuovo ciclo che sarebbe stato frequentato da molti dei suoi attuali compagni». La docente Alessandra Ricevuti, dicendosi «basita, scioccata, incredula, sconvolta», rivela un aneddoto che riguarda la madre: «Giovedì scorso Mariolina ha portato la tesina di Alessandra, fiera ed orgogliosa del lavoro svolto con tanto impegno».
E allora forse se qualcosa non andava, soprattutto nel modo in cui mamma Mariolina osservava il piccolo mondo antico della figlia, bisogna cercarlo al di fuori della scuola. Leggendo fra le righe della nota firmata dall’istituto “Ciro Michele Esposito”, laddove si ammette che, «come tutte le ragazze che primeggiano», Alessandra era portata a «lasciare poco spazio a volte alla socializzazione con i suoi compagni». Una ricostruzione, più corretta rispetto a quella (smentita) su «presunte difficoltà della giovanissima studentessa, nell’inserimento e nella socializzazione in classe», che trova riscontro in una fonte scolastica consultata da La Sicilia. «La madre qualche volta s’era lamentata del fatto che nessuno volesse uscire con sua figlia, chiedendo al preside e ad alcuni insegnanti di fare qualcosa». Forse si riferisce a questo, il sindaco Re, nell’appello in cui chiede a «chi fosse eventualmente a conoscenza di fatti e circostanze utili a facilitare gli inquirenti a ricostruire quanto accaduto» di mettesi «immediatamente a disposizione» e di «collaborare»?
Perché Alessandra era quanto di più lontano potesse esserci dal modello Chiara Ferragni. Brava, bravissima; ma isolata dal branco. Magari perché non era “alla moda” come altre coetanee, forse perché troppo impegnata a non deludere la madre sui 10 e lode per dedicare altro tempo all’essere (o meglio: all’apparire) come le altre compagne a cui non faceva copiare il compito in classe. Felice con i suoi gattini, spensierata con gli animali che animavano la solitudine bucolica (rifugio prediletto nei mesi del lockdown) della casetta di campagna di contrada Farcò, accanto al santuario del Letto Santo, sprofondata nel vallone dove finisce la strada sterrata che si dipana dal bivio sulla Statale, a quattro chilometri dal paese.
Nell’abitazione di via Garofalo, tre traverse sotto il corso principale di Santo Stefano, nel tardo pomeriggio non c’è nessuno. Non c’è papà Maurizio, la doppia vittima che rischia d’impazzire. Nessuno, in paese, ha osato sospettare, sin dal primo momento, di un «uomo esemplare», tutto lavoro (tornitore meccanico nell’azienda Nigrelli dopo esperienze giovanili da ceramista) e famiglia.
E poi c’è la scatola nera di Mariolina, una giungla di segni da interpretare. Come gli ultimi post su Facebook, proprio sabato. Prima rilanciando un panorama notturno con la scritta: «Certe cose si capiscono solo dopo. Molto dopo. Troppo dopo». Poi, accanto all’immagine di un albero sospeso fra le nuvole, con la frase di “Dark angel”: «Facile giocare con le parole. Difficile giocare con la vita. Schifoso è giocare con le persone». Un turbamento che risale nel tempo. Come quando aveva postato il video di una ragazzina “sopravvissuta” al bullismo.
È la cartella clinica di una malattia dell’anima. «Vi rispetterò nello stesso modo in cui rispettate mia figlia», sbotta in un altro post. Un sentiero di sospetto e di morbosità che la divide dal marito. Al quale, nella lettera lasciata nel soggiorno della casa di campagna, rimprovererebbe alcune cose che «stai facendo mancare a tua figlia». Seguono, con una grafia ordinata quanto basica, una serie di minuscoli tormenti giganteschi. Legati anche all’ipotesi che l’uomo, “terzo incomodo” nel rapporto maniacale della madre con la figlia, si fosse allontanato. Fino al punto di ipotizzare di uscire di scena, lasciando la moglie.
L’uomo, ai carabinieri, confessa le «liti sull’educazione di Alessandra», l’ultima delle quali proprio sabato mattina poco prima della fuga in campagna. «Ma niente di importante, normali dissidi familiari», rivela il procuratore di Patti, Angelo Cavallo. Consapevole, lui che sta provando a risolvere il giallo di Viviana e Gioele, che talvolta non c’è nulla di più agghiacciante della normalità. E che magari lo stesso cordone ombelicale, quello che legava le vite di Mariolina e Alessandra fino a strangolarle, è l’arma del delitto.
Già, perché in fondo, l’ultima pagina del giallo di Santo Stefano potrà avere il finale scontato dell’omicidio-suicidio oppure quello scioccante di un’osmosi tanto morbosa da convincere una ragazzina di 14 anni a togliersi la vita assieme alla madre. Un rito liberatorio, una macabra figura di nuoto sincronizzato. Ma, alla fine, cosa cambierebbe?
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