Mafia, operazione Dinastia: il “link” catanese con le cosche barcellonesi

Di Redazione / 28 Febbraio 2020

MESSINA – La droga da vendere sulle piazze di spaccio dell’area tirrenica della provincia di Messina arrivava soprattutto dalla Locride, grazie agli affari con la ‘ndrangheta, ma anche dal Catanese dove c’era un collegamento con le cosce mafiose etnee. Fiumi di cocaina, hashish e marijuana che la famiglia mafiosa barcellonese piazzava poi quasi in regime di monopolio.

E’ quanto emerge dell’operazione antimafia “Dinastia” dei carabinieri del Comando provinciale di Messina e del Ros, che ha portato in carcere 59 persone e dimostrato come a gestire la criminalità organizzata della zona ora erano i figli dei principali capimafia barcellonesi. Per tutti l’accusa, a vario titolo, è di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, detenzione e porto illegale di armi, violenza e minaccia, con l’aggravante del metodo mafioso.

Il blitz è il risultato delle indagini condotte, sotto la direzione della Dda di Messina, dal Nucleo investigativo del Comando provinciale, dal Ros e dalla Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto che hanno consentito di documentare l’operatività della famiglia mafiosa a Barcellona Pozzo di Gotto e sul versante tirrenico della provincia di Messina. Fondamentali per ricostruire gli affari dei boss le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Carmelo e Francesco D’Amico, Franco Munafò, Bernardo Mendolia, Aurelio Micale e Alessio Alesci, attualmente detenuti dopo essere stati arrestati nelle operazioni antimafia “Pozzo” e “Gotha” del Ros.

Le indagini hanno dimostrato come, dopo un summit avvenuto nel 2013, in località Spinesante a Barcellona Pozzo di Gotto, i più autorevoli esponenti del clan ancora in libertà, tra cui Francesco Aliberti, Lorenzo Mazzù, Domenico Chiofalo e Aurelio Micale, decisero di mettere le mani sul controllo del traffico delle sostanze stupefacenti. Occorreva integrare gli introiti delle estorsioni, un’attività che in quel periodo si era rivelata particolarmente rischiosa e non più remunerativa come in passato.

Ma i proventi del traffico di stupefacenti servivano anche al mantenimento dei detenuti e delle loro famiglie. «Il traffico di droga per conto del clan – spiegano gli investigatori dell’Arma -, in una prima fase, fu gestito dai fratelli Lorenzo e Carmelo Mazzù, che diventarono monopolisti del mercato all’ingrosso». Erano loro a occuparsi della vendita al dettaglio attraverso piccoli distributori locali che erano obbligati a comprare la droga solo dalla famiglia barcellonese. Chi disponeva di autonomi canali di approvvigionamento era, comunque, obbligato a corrispondere una “quota” percentuale al clan per ottenere l’autorizzazione a spacciare sul territorio.

Dopo l’arresto dei fratelli Mazzù a luglio 2013, le redini della famiglia furono assunte da Alessio Alesci, a sua volta raggiunto da un provvedimento cautelare in carcere con l’operazione Gotha V che lo ha portato a collaborare con la giustizia. Durante le indagini nei suoi confronti i carabinieri di Barcellona Pozzo di Gotto sequestrarono quello che può essere considerato il registro contabile del gruppo: le liste dei nomi degli acquirenti e cifre incassate dallo spaccio. Dopo i vuoti di potere causati dalla raffica di arresti, a prendere le redini furono i figli di alcuni storici capimafia barcellonesi: Nunzio Di Salvo, figlio di “Sam”; Vincenzo Gullotti, figlio del capo della famiglia mafiosa barcellonese Giuseppe; e Cristian Barresi, figlio di Eugenio e nipote del defunto boss Filippo Barresi. 

«Furono loro ad assumere ruoli di rilievo nell’attività del traffico di stupefacenti – spiegano gli investigatori – condotta per conto della famiglia mafiosa barcellonese e gestita con metodo mafioso per regolare le controversie connesse alle narco transazioni e i rapporti con altri gruppi criminali calabresi e catanesi».

A Catania, ad interagire con i barcellonesi e con il gruppo dei milazzesi era Salvatore Laudani, sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e collegato alla criminalità mafiosa catanese poichè dalle risultanze investigative in contatto diretto con esponenti dell’associazioni mafiosa Pillera-Puntina e del clan “Mazzei”, in grado di assicurare forniture di marjuana di 7 od 8 chili per consegna. Nel medesimo contesto è stato accertato inoltre che il gruppo di Fondaconuovo si approvvigionava ad Adrano da Vincenzo Rosano, detto lo “Zio Vincenzo”.

Gli arrestati

Gli arrestati  sono Francesco Anania, 53 anni, Cristian Barresi, 32, Carmelo Benenati, 34, Daniele Bertolami, 33, Salvatore Bucolo, 31, Pietro Bonfiglio 49, Mariano Calabró, 34, Alessandro Calderone, 22, Dylan Seby Caliri, 22, Pietro Caliri 48, Carmelo Cannistrà, 26, Salvatore Chillari, 42, Antonio Chiofalo, 23, Carmelo Chiofalo 40, Giovanni Crifó, 34, Nunzio Di Salvo, 34, Francesco Doddo, 56, Claudio Febo, 39, Giovanni Fiore,30 anni, Marco Formica, 31,Carmelo Vito Fori, 53, Luciano Fugazzotto, 56, Vito Gallo, 39, Filippo Genovese 33, Mattia Giardina, 20, Tindaro Giardina, 33, Nunzio Grasso, 45, Vincenzo Gullotti, 27, Antonio Iacono, 25, Maurizio Iannello, 31, Francesco Iannello 35, Salvatore Laudani, 40, Samuele Marino, 29, Carmelo Mazzù, 31, Lorenzo Mazzù, 34, Simone Mirabito, 29, Massimiliano Munafó, 50, Edmond Ndoj, 41, Matias Piccolo, 26, Salvatore Piccolo, 53, Angelo Porcino, 63, Gjergj Preci, 33, Giuseppe Puliafito, 29, Sebastiano Puliafito, 54, Carmelo Quattrocchi, 44, Antonino Recupero 29, Vincemzo Rossano, 51, Giuseppe Scalia, 50, Francesco Scarpaci, 29 ,Carmelo Scordino, 57, Tindaro Scordino, 35, Andrea Sgroi, 24, Giovanni Sofia, 36, Sergio Spada, 39, Filippo Torre 53, Giuseppe Tore 25, Francesco Turiano, 35 e Andrea Villini 24. Una persona è attualmente ricercata.

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