CATANIA – La conferma della condanna di primo grado – cioè l’assoluzione per tutti gli imputati, è stata chiesta dal sostituto procuratore generale Sabrina Gambino ai giudici che stanno celebrando il processo d’appello per le infiltrazioni mafiose nella festa di S. Agata (fino all’edizione 2005).
«Limiti evidenti nella formulazione del capo d’imputazione» hanno indotto la pubblica accusa a non seguire la tesi avanzata dal sostituto procuratore Antonino Fanara, che aveva scritto i motivi d’appello contro la sentenza che l’8 febbraio del 2013 aveva determinato l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» degli otto imputati alla sbarra, Nino Santapaola,
nipote del boss Benedetto, Francesco Santapaola figlio minore di quest’ultimo, Giuseppe Mangion detto “Enzo”, Alfio Mangion, Vincenzo Mangion, Salvatore Copia e Pietro Diolosà, ex presidente del Circolo cittadino S. Agata, quello che ha sede alla Collegiata. Sono tutti accusati del reato di associazione mafiosa per il quale, tra l’altro, erano stati già giudicati (con sentenza definitiva o con processi in corso) con il procedimento «Dionisio».
Secondo le accuse originarie la festa era sostanzialmente “incontrollabile” soprattutto da un punto di vista degli orari di rientro del fercolo, perché la gestione dei tempi e di alcune manifestazioni a latere (vedi fuochi d’artificio di quartiere e soste del fercolo) erano, in realtà, nelle mani della mafia, in particolare delle famiglie Santapaola e Mangion che, dettando i tempi della festa dimostravano ancora una volta di più il loro “potere” su una delle cose che i catanesi tutti hanno più a cuore, la festa della Santa Patrona.