PALERMO – Se ne va un pezzo di storia di Cosa nostra, portandosi dietro tanti segreti dell’organizzazione mafiosa. Salvatore Profeta, 69 anni, è morto in ospedale. Stroncato, probabilmente, da un infarto.
Era stato ricoverato da una decina di giorni per un malessere. Si trovava in Friuli, a Tolmezzo, in provincia di Udine. Nel carcere di massima sicurezza, tra le montagne verdi poco fuori il comune dove abitano 10mila persone, Profeta stava scontando una condanna a otto anni e due mesi per associazione mafiosa, estorsione e rapina.
Uomo d’onore storico, Profeta, secondo alcuni pentiti, era tra gli uomini più vicini a Stefano Bontade, il capomafia che reggeva la Cupola prima dell’avvento dei corleonesi. Tant’è che fu lui, dopo l’assassinio di Bontade, ucciso in un agguato nel 1981 durante la guerra di mafia scatenata da Totò Riina contro i cosiddetti «clan perdenti», a prendere le redini della famiglia di Santa Maria di Gesù, tra le più potenti a Palermo.
Da Bontade a Riina il passaggio fu immediato per il boss, che aveva il suo quartier generale alla Guadagna, tra le piazze maggiori dello spaccio di droga in città. Fu coinvolto nella strage di via D’Amelio, dove nel ’92 furono uccisi con un’ autobomba imbottita di tritolo il magistrato Paolo Borsellino e gli agenti di scorta. A tirarlo in ballo fu suo cognato, Vincenzo Scarantino che lo accusò di avergli commissionato il furto della 126 che venne imbottita di esplosivo per la strage. Il boss fu condannato all’ergastolo, assieme ad altri sei imputati, per l’eccidio.
Per tutti, nel 2011, scattò la revisione quando il pentito Gaspare Spatuzza aiutò i magistrati, con le sue rivelazioni, a smentire la versione di Scarantino che ammetterà di essersi inventato tutto perché messo sotto pressione da alcuni investigatori, aprendo il velo sui cosiddetti depistaggi. Spatuzza rivelò di essere stato lui a rubare l’auto su mandato del boss Giuseppe Graviano, facendo chiarezza su tutte le fasi successive al furto e alla preparazione dell’auto usata come autobomba.
Tornato alla Guadagna, Salvatore Profeta riprese subito in mano le redini del clan, col suo vecchio stile da “padrino” d’altri tempi. Parlando di lui, l’ex procuratore aggiunto di Palermo, Leonardo Agueci, disse: «Profeta non solo era il boss riconosciuto ma si atteggiava anche come tale». Aveva scelto come ‘ufficiò un bar nella piazza principale del quartiere e ogni giorno riceveva persone, dispensava aiuti e favori per rafforzare il controllo del territorio».
Il boss fu arrestato tre anni fa. Quella notte tante persone si riversano in strada per salutare il vecchio boss che tornare in prigione.