PALERMO – Quattro boss monitorati che improvvisamente spariscono. Scompaiono dai “radar” degli investigatori, microspie e telecamere. Tutto azzerato. Dei quattro nessuna traccia.
Era il 29 maggio 2018. E questa è una data fatidica per Cosa nostra palermitana. Segna la prima riunione della Commissione provinciale che provava a darsi nuove regole e riorganizzare le famiglie.
Ci sono Settimo Mineo, reggente del mandamento mafioso di Palermo Pagliarelli; Francesco Colletti, boss di Villabate; Gregorio Di Giovanni reggente del mandamento mafioso di Palermo Porta Nuova ma anche, tra gli altri, Leandro Greco, detto Michele, nipote de “il papa di Cosa nostra” Michele, padrino di Ciaculli, e Calogero Lo Piccolo, figlio del boss di San Lorenzo Salvatore.
Non si presenta, seppur ritualmente invitato Filippo Salvatore Bisconti, l’architetto. Che oggi, tuttavia, di quella riunione racconta tutto agli investigatori avendo appreso ogni dettaglio dal suo amico e boss di Villabate Francesco Colletti.
Quest’ultimo, a sua insaputa, informa in tempo reale gli investigatori che lo avevano messo sotto intercettazione. Scrive la Dda di Palermo: «Una svelatrice intercettazione intercorsa tra Francesco Colletti, attuale reggente del mandamento mafioso di Villabate, ed il suo fidato autista Filippo Cusimano, anch’egli uomo d’onore alla famiglia di Villabate, il primo riferendo di aver partecipato alla riunione da poco conclusa, effettuava chiari riferimenti ad importanti reggenti di mandamenti mafiosi della città, anch’essi partecipanti alla riunione, quali Settimo Mineo, Filippo Bisconti e Gregorio Di Giovanni oltre alla presenza alla riunione di altri “vecchi di paese”, e cioè di reggenti di mandamenti mafiosi esterni alla città di Palermo». In quella riunione, il cui luogo è tuttora misterioso ma dovrebbe trattarsi di una casa molto isolata nella zona di Badia, i capimafia hanno riportato in vita la commissione provinciale di Cosa nostra e designato il nuovo capo dei capi: Settimo Mineo, 80 anni, professione ufficiale gioielliere, già imputato al maxi-processo.
Il resto della storia lo racconta Bisconti, preceduto dal pentimento e dalle dichiarazioni di Francesco Colletti che un mese prima dell’architetto aveva deciso di vuotare il sacco.
Riferisce Bisconti nell’interrogatorio del 16 gennaio scorso: «Quanto al periodo successivo alla riunione del 29 maggio, emergono le vere e proprie mire espansionistiche manifestate da Michele Greco, il quale, nel tentativo di spostare verso i mandamenti cittadini il baricentro della commissione, avanzava la pretesa di non far partecipare alle future riunioni i rappresentanti dei mandamenti mafiosi della provincia; inoltre, sempre Greco si proponeva con forza a Colletti quale portavoce del mandamento di Villabate. In buona sostanza Greco avrebbe rappresentato due mandamenti. Colletti mi raccontò questa cosa, forse a luglio-agosto e si lamentò molto. Io gli dissi che il Greco non aveva il diritto di fare ciò. Ci incontrammo, dunque, dalle parti della Magione. In questa occasione prese la parola Colletti, spiegando la situazione, dopo di che ha parlato Greco e poi intervenne Sciarabba difendendo la posizione di Colletti, al che intervenni anch’io. Greco per mettere in difetto Colletti, cioè per dimostrare che non sapeva controllare il suo territorio, affermò che Franco “Occhi belli”, (un appartenente al suo clan, ndr) aveva una sorella dal comportamento disdicevole, che non sapeva controllare. Al che il Colletti si impegnò per mettere in disparte “Occhi belli”. Il Colletti mi disse poi che avrebbe preferito Filippo Cusimano come suo eventuale delegato. Tornando all’incontro alla Magione, Greco ribadì la sua pretesa di rappresentare Colletti in occasione delle riunioni. Di Giovanni era in difficoltà, perché da un lato avrebbe voluto difendere Michele Greco, ma dall’altro sapeva che la posizione di Greco era indifendibile. Si pose il problema di non fare riunioni troppo allargate. Ad esempio si disse che Santa Maria di Gesù doveva essere rappresentata da Di Giovanni o da Michele Greco. Ricordo che Michele Greco aveva rappresentato la necessità di mettere per iscritto delle “regole” e che gli altri capi-mandamento avevano segnalato come già esistessero delle regole scritte, aggiungendo che le stesse, per quanto di sua conoscenza, sarebbero custodite nel mandamento di Corleone».
ARCHITETTO, “FIGLIO D’ARTE” DELLA MAFIA Filippo Salvatore Bisconti, architetto di 59 anni, frequentatore di buoni salotti palermitani, figlio di Ludovico detto “il commendatore”, già reggente del mandamento mafioso di Misilmeri – Belmonte Mezzagno, il 15.01.2019, sceglieva di intraprendere formalmente un percorso di collaborazione con la giustizia e già il giorno successivo rendeva dinanzi al Pm dichiarazioni dalla formidabile rilevanza investigativa. E’ lui che ha già riempito pagine e pagine di verbali che hanno tolto il sonno non solo agli appartenenti a Cosa nostra ma anche a “colletti bianchi”, politici ed imprenditori. Bisconti ha fatto tutta la trafila mafiosa nascendo da famiglia mafiosa: gli arresti, il primo nel 1996, ed ancora nelle operazioni antimafia “Jafar”, “Perseo”, la sorveglianza speciale, la misura di prevenzione, il sequestro dei beni e le condanne. E’ uno degli ultimi boss ad avere incontrato almeno in una occasione il capo-mafia Bernardo Provenzano, avvenuto in un casolare dove “Binnu” si nascondeva, soffermandosi sui dettagli di tale incontro. L’architetto Bisconti emerge in tutta la sua vicenda umana e giudiziaria come un soggetto altamente temuto e rispettato in Cosa nostra. |