Mafia, così i clan volevano un profilo basso «Niente Santa che balla davanti la porta»

Di Concetto Mannisi / 06 Maggio 2016

Mafia e derby, si potrebbe dire. Nel senso che nelle intercettazioni eseguite dai carabinieri del Raggruppamento operativo speciale nel corso dell’attività investigativa che ha portato all’esecuzione del blitz Kronos, quello che ha permesso di decapitare tre famiglie di Cosa nostra, emerge in Salvatore Di Benedetto e Giovanni Pappalardo – i due referenti della famiglia di Caltagirone che avrebbero dovuto essere soppiantati e poi eliminati dopo la recente scarcerazione di Alfonso Fiammetta (palagonese legato ai catanesi della famiglia Santapaola-Ercolano) – un vero e proprio orgoglio legato alle loro radici palagonesi.

«Ci pari ca stanu parrannu cu du scurdioti? », dicono in un paio di circostanze per sottolineare, secondo loro, la differenza di spessore fra chi opera a Palagonia e chi a Scordia. Ma è con i paternesi – da Franco Amantea a Pippo Mirenna, con riferimenti pure agli Assinnata – che i due si giocano le loro “carte” migliori. Quelle che hanno portato il comandante in capo del Ros, generale Giuseppe Governale, a sottolineare in sede di conferenza stampa che la mafia preferisce muoversi sotto traccia e senza esibizioni e pennacchi: «E poi se dobbiamo fare come fanno loro – dice Pappalardo – che hanno tutte le intercettazioni…. “Questo è il capo, quello è il capo, questo è il capo”… A quello la Santa che gli balla davanti alla porta (il riferimento è all’inchino di due cerei della festa di Santa Barbara, nel dicembre scorso, davanti al boss Assinnata, ndc)…. Ma che vi piace questo? A me non piacciono queste cose». «Noi nell’anonimato vogliamo stare – conferma Di Benedetto – nascosti e senza pennacchi».

E Pappalardo: «La Santa quando passa no che me la fanno ballare davanti alla porta… ». Ce ne è pure, come detto, per Franco Amantea, che ai due fa dichiaratamente «malo sangue». Tessitore di trame, il paternese aveva ipotizzato di stilare una lista con i nomi di chi doveva occuparsi di determinate questioni nel Calatino: «Quello sempre con la lista ce l’ha – dice Di Benedetto imitando l’accento paternese – Fate una lista chi dentro, chi fuori e accentrate tutte cose. Eppure questi paternesi sono malati di malavita».

 

 

C’è pure l’occasione in cui, a un certo punto di un summit, i vertici chiedono ai pesci più piccoli di uscire per continuare la discussione in ambito ristretto: «Meno male che non ero lì dentro – dice Di Benedetto – se no gli dicevo a Pippo “ma aspetta, noialtri siamo qua per discutere; io le posso sentire le discussione dello zu Turi e anche le tue, se non vuoi ce accettare ce ne stiamo andando tutti para para… ». Nel mirino pure i catanesi, che incassano senza sforzo parte dei proventi delle estorsioni avviate dai palagonesi: «Sono soldi nostri – dice Di Benedetto – gli ho puntato il dito, prendi i soldi di là e li metti là… Non è che sono soldi tuoi quelli, quelli sono soldi che ho preso io… Carmè!… Perchè siccome hanno queste abitudini, che come ci sono arrivati 1000 euro, nelle mani glieli hanno tolti… E sono rimasti ormai con quelle sembianze, sono rimasti…. Questa cosa qua non funziona, gliel’ho detto ieri sera al “vecchio” (lo zu Turi Seminara, ndc): questa cosa non funziona e come viene qua ‘ncarratillu davanti, nelle cose che abbissiamo noialtri loro mani non ce ne devono mettere, le mani glieli dobbiamo mettere noialtri… A piatto cunzato gli vado a dare la mia faccia.. mi faccio quattro giorni di freddo in quelle montagne, che il freddo mi prendeva il culo, qua capace che per dire… arrivunu i chiamati… arrivano loro lilli lilli e si pigliano i soldi».

Fra gli intercettati anche Pippo Mirenna, che ha il compito di instradare gli emergenti e Davide Ferlito, il giovane che viene affiancato a Pappalardo e Di Benedetto da Seminara: «Io sono un poco vecchio e un poco giovane – dice Mirenna – sono giovane per la vita.. per la vita comune, sono vecchio per queste cose… io mi reputo reduce degli anni Ottanta, quando… immagina un po’… quando tutto filava con due sguardi senza chiacchiere.. senza niente, senza grilli per la testa.. senza prosopopee». Ferlito sciorina il suo curriculum, in cui spiccano, a suo dire, i «quindici anni di amministrazione con Salvino Fagone». «Brava persona», sottolinea Mirenna. Che poi incalza: «Ora se abbiamo intelligenza.. se abbiamo intelligenza e fede, fedeltà e onestà l’importante è questo… tu sei nel porto.. loro (con riferimento a Di Benedetto e Pappalardo, ndc) sono nella vasca da bagno.. come se fossero in una vasca da bagno». Ferlito è ovviamente mal visto dai due soggetti da esautorare, i quali quando si muovono, comunque, dimostrano di avere il fiuto per le estorsioni. Passando da San Giuseppe la Rena, non distante dalla struttura che un tempo ospitava l’«Auchan», oggi «Città mercato», i due notano un buon numero di mezzi fra trattori e macchine per il movimento terra: ne parlano con i catanesi, proponendo di avvicinare subito i soggetti che stanno eseguendo quei lavori. La risposta dei catanesi è negativa, ma sol perché l’imprenditore sta già pagando la “messa a posto”.

 

 

Il 3% dell’appalto, che a fronte di un milione di euro, ad esempio (e di questi affari ne sarebbero stati realizzati, stando a quel che si legge nelle carte), equivalgono a trentamila euro da destinare al pagamento degli stipendi, al sostentamento delle famiglie dei detenuti, al pagamento delle spese legali. 

Condividi
Pubblicato da:
Redazione
Tag: intercettazioni kronos mafia paternò