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Mafia, cadute le accuse a Montante ma gli incubi del passato lo inseguono

Archiviato a Caltanissetta il fascicolo per concorso esterno aperto nel 2014: per il leader di Confindustria fu l’inizio della fine

Di Mario Barresi |

Il fascicolo aperto a Caltanissetta per concorso esterno alla mafia – che per Antonello Montante fu l’inizio della fine – è stato archiviato. Un riferimento lo si ritrova nelle motivazioni della condanna a otto anni in appello per associazione a delinquere finalizzata a corruzione e accesso abusivo a sistema informatico, laddove i giudici, sui presunti rapporti dell’imprenditore di Serradifalco con i boss, e con la famiglia Arnone in particolare, scrivono che «non è dato conoscere se le dichiarazioni dei collaboratori abbiano trovato specifici riscontri, non essendo note le determinazioni del Pm sull’originario procedimento per il reato» di concorso esterno in associazione mafiosa. Il che, rispetto all’indagine partita nel 2014, significa che i giudici d’appello, ufficialmente, non ne conoscono l’esito.

Materiale probatorio non sufficiente

E invece il materiale probatorio raccolto negli ultimi dieci anni contro Montante non è stato ritenuto dalla Procura sufficiente a sostenere l’accusa in un eventuale processo. Come apprende La Sicilia da fonti qualificate, l’archiviazione, chiesta dal pm Claudia Pasciuti nel 2022, sarebbe stata già disposta dal gip. Più d’un anno fa. Una svolta importante che, non essendoci obbligo di notifica all’indagato, è sconosciuta anche ai legali dell’ex leader di Confindustria Sicilia. «Non ne sappiamo nulla, siamo fermi alle dichiarazioni di chi in aula ha detto che quel fascicolo ce l’hanno ancora nell’armadio», taglia corto l’avvocato Giuseppe Panepinto. Dell’inchiesta, rivelata da Repubblica nel febbraio 2015, la difesa dell’indagato ha contezza ufficiale soltanto nel decreto di perquisizione della villa di Serradifalco, risalente al 22 gennaio 2016.

Il rapporto con gli Arnone

Ma quell’armadio, oltre a essere traboccante di atti ritenuti comunque molto rilevanti, non è detto che sia stato sprangato buttando via la chiave. Anche perché, nel groviglio di indagini e processi, le tracce lasciate dal Montante corruttore, bancarottiere e affarista hanno talvolta una matrice di contiguità alla mafia. Del resto, anche i giudici d’appello, parlando della madre di tutte le accuse (il legame con la famiglia mafiosa di Serradifalco), sono espliciti nel definire «incontrovertibile» il fatto che «Montante avesse avuto contatti con Vincenzo Arnone in epoca in cui già era noto il coinvolgimento in indagini di mafia, suo e del padre Paolino»; così come «non è credibile che egli non conoscesse le vicende giudiziarie di costoro». E sugli Arnone, annota la Corte, «non ci sono mai state ferme e proclamate prese di posizione da parte sua, al pari di quelle che seppe prendere nei confronti di altri soggetti coinvolti in vicende giudiziarie, a cominciare da Di Vincenzo».

Il “movente” dei segreti nascosti

Ma i vecchi segreti scomodi sepolti nelle trazzere di Serradifalco, pur non essendo «necessario ipotizzare, stante anche la carenza di un’imputazione da valutare e lo stato frammentario degli elementi acquisiti in questo giudizio, che Montante avesse mantenuto cointeressenze con Arnone o con esponenti della mafia locale», per i giudici d’appello sono sufficienti come «movente comunque solido» su cui fondare l’accusa di essere il capo della cricca degli spioni. Un movente che lo indirizzava a «impedire che tali vicende pregresse della sua vita privata (come ad esempio la foto, pubblicata sul sito dei Siciliani Giovani, di un giovanissimo Montante con Arnone Jr. nella sede dell’allora Assindustria di Caltanissetta, e il certificato di nozze da cui si evince che il boss e il figlio furono suoi testimoni, ndr) e della sua attività imprenditoriale fossero pubblicizzate». Proprio perché, all’apice della «costruzione della propria immagine che egli continuava ad alimentare», quella da icona antimafia, «ogni elemento che disturbasse questa narrazione poteva incidere sul prestigio e sul mantenimento del suo ruolo». Montante, sentito sul rapporto con gli Arnone, in un’indagine «avente altro oggetto», il 12 novembre 2011 «aveva mostrato qualche reticenza, pur ammettendolo».

I pentiti e il depistaggio

Eppure il fascicolo sul concorso esterno era alimentato dalle «plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia», alcuni dei quali parlano anche di appalti e di “esenzione” dal pizzo per le imprese della famiglia Montante. L’indagine, ricordano i giudici d’appello, «veniva, però, arricchita dalle dichiarazioni di altri due soggetti che erano stati molto vicini a Montante»: Marco Venturi, ex big confindustriale e assessore regionale, e Alfonso Cicero, ex commissario Irsap. Ma non solo. E qui si arriva al mistero della sparizione dei documenti sull’ingresso di Montante in Confindustria e sul successivo sostegno alla nomina di Arnone nel comitato dei saggi. Fra finti furti, scatoloni da portare in un magazzino, depistaggi. La squadra mobile ritrova però, nel notebook sequestrato nella “stanza della legalità”, «i contenuti dei documenti non rinvenuti» nella sede dell’associazione, i quali «risultavano annotati in successione in un file excel nella disponibilità di Montante».

Una mosca dentro il bicchiere

Ce n’è abbastanza affinché la Corte d’appello sostenga che «si può dare per accertato che Montante aveva intrattenuto rapporti di familiarità e di affari con la famiglia Arnone». Sebbene in assenza di «ammissioni sull’esistenza e sulla natura» dei legami e nonostante «allo stato degli atti non vi sono delle contestazioni da valutare (e alle quali questa Corte intende rigorosamente attenersi) imputazioni che questi rapporti siano trascesi nell’illecito penale […]», l’imputato «aveva cercato in ogni modo di evitare che essi emergessero e fossero sottoposti alla pubblica opinione».Ed ecco il senso più profondo del processo. Una beffa: Montante, come una mosca impazzita dentro un bicchiere, dissemina reati – spia le indagini, infanga i nemici, ripulisce l’immagine di icona della legalità – per depistare l’accusa, per lui inconcepibile, di concorso esterno alla mafia. Rispetto alla quale, adesso, si scopre che è stato archiviato.

m.barresi@lasicilia.it

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