Mafia, a Catania un nuovo “pentito” svela i segreti dei Cursoti milanesi e dei Cappello: ecco le sue rivelazioni

Di Laura Distefano / 25 Dicembre 2022

È una mattina di agosto. Davide Agatino Scuderi, ormai ex soldato dei Cursoti Milanesi, attende da un sito protetto il collegamento via Teams per parlare con la pm Assunta Musella. Ha deciso di fare un salto nel buio il 48enne che sta affrontando il processo per il duplice omicidio di Librino del 2020. Qualche giorno prima ha fatto una scelta che non permette ripensamenti. Anche se altri prima di lui, in realtà, li hanno avuti. Ma quando intraprendi la strada “da pentito” nulla è più come prima. E, in caso di “ritrattazione”, rientrare nella mafia ha un costo. Anche pesante. 

I verbali del collaboratore – che La Sicilia pubblica in esclusiva – sono finiti nei fascicoli del blitz Zeus della Squadra Mobile. L’inchiesta è quella che alcune settimane fa ha sferrato un colpo micidiale contro la cosca fondata da Jimmy Miano (ormai scomparso) negli anni 80. 

«Confermo la volontà di collaborare con la giustizia già manifestata, mi impegno a rispettare gli obblighi di cui mi è stata data lettura. Intendo rispondere alle domande che mi verranno proposte». Comincia con la frase di rito l’interrogatorio di Scuderi, detto “Tino Spider”. 

Il primo step è il racconto della sua “militanza” nel clan. «Faccio parte del gruppo dei Cursoti Milanesi dal 1991. Operavo assieme a Gaetano Di Stefano, inteso “Tano Sventra”, in questo primo periodo sono stato anche arrestato per spaccio di eroina. Mi occupavo principalmente di sostanza stupefacente, che “praticavo” insieme a Salvatore Privitera in via del Maggiolino». Scuderi avrebbe il pedigree dello spacciatore. E questo lo porta tante volte in gattabuia. 

Tino Spider, per un periodo, cambia casacca mafiosa e indossa quella dei cappelloti. Per i quali si sarebbe occupato di estorsioni, droga, rapine. «Nel 2016, dopo la mia scarcerazione, sono entrato a far parte del gruppo di Massimo Salvo inteso “u carruzzeri”. All’inizio Salvo mi osservava e non mi faceva fare niente, in seguito mi ordinò di andare a fare estorsioni a Piano Tavola, cosa che io feci insieme ad un ragazzo di nome Massimo (inteso ‘u tuccu’) di cui ora non ricordo il cognome. Lavoravo – racconta Scuderi – anche nella piazza di San Giorgio, insieme a Giuseppe (o Masino) Grasso, riferibile ai Cappello e gestita da Seby Calogero e dai fratelli Luca e Fabio (Santoro, ndr). In seguito, sempre nel 2016, ad agosto Massimo Salvo mi mandò a fare una rapina allo Sda ubicato nella zona di Vaccarizzo. Ho effettuato anche altre rapine».

A gennaio 2017 arrivano le manette per tutti i componenti della frangia gestita da “u carruzzeri”. Per Scuderi   il processo finisce con un’assoluzione. «Sono stato tratto in arresto nell’operazione Penelope per associazione mafiosa al gruppo Cappello, reato per il quale si è celebrato il processo e nel quale sono stato assolto». 
Nello stesso periodo del blitz Penelope Scuderi sceglie di tornare “nella vecchia casa mafiosa”. Il motivo? «Agli inizi del 2017 ebbi una discussione – spiega il pentito – con Masino Tropea, il quale mi diede l’ordine di raccogliere dell’erba da una piantagione, che io rifiutai. Massimo Salvo, quando seppe del mio rifiuto, mi allontanò. A quel punto io tornai con il gruppo dei cursoti milanesi». 

Scuderi si specializza in traffico di droga. La “piazza" è quella di viale Grimaldi, quella lingua di asfalto che l’8 agosto 2020 si trasforma in un girone infernale. «Ammetto le responsabilità dei fatti relativi alla sparatoria», confessa il collaboratore. 

Gli affari di spaccio li condivide con «i fratelli Sanfilippo (Martino, Ninni e Michael, anche loro pentiti, ndr)». «La piazza trattava solo cocaina ma – dichiara ai pm – nel punto più alto di viale Grimaldi 18 si spacciava anche droga leggera. Ho svolto questa attività dal 2017 fino alla data del mio ultimo arresto. Ho subito qualche detenzione per lo spaccio di cocaina che praticavo nella piazza».

Il baricentro di potere dei cursoti milanesi spazia su diverse zone, non solo Librino. «È operativo sui territori di San Berillo (nuovo), Librino, viale Mario Rapisardi», illustra il collaboratore.

Ma all’interno del clan ci sarebbe una corrente che sarebbe in mano al vecchio Tano “sventra” Distefano, padre dei fratelli Carmelo e Ciccio. Il pentito parlando di Daniele Grasso afferma che «è un affiliato dei cursoti milanesi alle dirette dipendenze di Tano Distefano. Ricordo che nel mese di dicembre 2020 si presentò da me e Michael Sanfilippo dicendoci che Tano ci voleva vedere per parlarci delle piazze di droga. Noi non ci siamo andati – precisa alla magistrata – perché non avevamo a che fare con lui e dovevamo riferire solo a Carmelo Distefano e non al padre».  

Scuderi è un soldato della cosca. E un soldato deve essere pronto anche ad andare in guerra quando il capo lo chiama. «In questo periodo, oltre a lavorare nella piazza di spaccio, ero comunque a disposizione per Carmelo Di Stefano (all’epoca reggente del clan, ndr) per discussioni o per altre esigenze». E ancor prima della guerra con i Cappello, Di Stefano avrebbe ordinato al 48enne di uccidere. «Ad esempio nel 2019 mi ordinò di uccidere Pantellaro (Giovanni ed esponente di rango del clan Cappello, ndr)».

I particolari di questo piano di sangue, poi sfumato, li descrive in un altro verbale. Quando gli mostrano la foto di Natale Gurreri, figlio di Giovanni Zorro e coinvolto nell’operazione Zeus, il pentito racconta: «Ha partecipato alla spedizione punitiva di Giovanni Pantellaro del 2019». La miccia che ha “acceso” le tensioni è quella relativa – e già descritta nelle carte dell’operazione della mobile – alla separazione di Angelo Ragusa con la figlia di Pantellaro. Da quanto emerge nell’ordinanza però la soluzione ai diverbi Di Stefano l’avrebbe trovata (dopo una serie di azioni molto violente da parte delle due fazioni) con la “diplomazia”.

Ma leggendo le parole di Scuderi, il boss dei Milanesi avrebbe usato la forza per farsi ascoltare dall’ex reggente dei Cappello: «Un giorno andammo io, Carmelo Di Stefano, Natale Gurreri, i fratelli Sanfilippo al bar di Pantellaro ubicato vicino all’ospedale Vittorio Emanuele per “punirlo”. Di Stefano era armato di mitra e disse che appena entrati nel bar avremmo dovuto sparargli. Il cugino Angelo era armato con una pistola 7.65. Quel giorno Pantellaro non era nel bar. Dopo alcuni giorni Di Stefano ordinò a me, Gurreri e Carmelo Sanfilippo di cercarlo di nuovo, quindi andammo al bar. Non avendolo trovato, andammo al bar Lanzafame di San Cristoforo, dove era presente ma riuscì a darsi alla fuga. Carmelo Di Stefano sparò diversi colpi e riteneva di averlo colpito alle gambe, ma non ne eravamo certi perché dovemmo a nostra volta allontanarci in fretta».

Ma non è una novità che per risolvere “le discussioni” i cursoti milanesi ricorrano alle armi. A Scuderi, inoltre, ultimamente la polizia ha notificato un’ordinanza per un’altra sparatoria avvenuta il 18 giugno 2020. Bersaglio delle pistolettate «era Kevin Pantò». «La finalità era solo quella di intimorire Pantò, il quale aveva fatto discussioni con Ninni Sanfilippo». Un avvertimento in perfetto stile mafioso. 

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Pubblicato da:
Alfredo Zermo
Tag: clan cappello collaboratore di giustizia cursoti milanesi davide agatino scuderi inchiesta zeus mafia pentito