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IL GIALLO

«Macché Bronzi di Riace, sono di Brucoli»: dopo 52 anni nuove rivelazioni sul misterioso ritrovamento

Un testimone rivela quando e come avvenne la scoperta: «Ecco cosa mi confidarono i boss. Cinque le statue ripescate e due leoni»

Di Laura Valvo |

Nel suo libro del 2014 “I bronzi di Riace”, Alberto Angela poneva una domanda alla quale le pluridecennali indagini giudiziarie (circa l’ipotesi che i due colossi mancassero di accessori quali spada e scudi, forse trafugati e venduti all’estero prima del ritrovamento ufficiale) non sono riuscite a dare risposta: «Se davvero le statue si trovavano a poche centinaia di metri dalla battigia di una spiaggia molto frequentata e a meno di dieci metri di profondità, come mai nessuno si era accorto prima della loro presenza?». Il perché può essere dato da una nuova pista tutta siciliana, secondo la quale i Bronzi non furono trovati nella costa calabra orientale, nelle acque di Riace Marina, ma in quella siciliana e precisamente al largo di Brucoli.

La rivelazione viene addirittura da un testimone che avrebbe raccolto le confidenze di un esponente di spicco della mafia calabrese circa il rinvenimento e il ripescaggio di cinque statue e due leoni, e che è rimasto zitto cinquantadue anni per via del sospetto che l’intera vicenda sia stata nelle mani di organizzazioni mafiose se non addirittura che la scoperta sia stata opera loro.

Il recente studio condotto da un’equipe di studiosi delle università di Catania e Ferrara, coordinata dal professor Rosolino Cirrincione, congiuntamente allo studioso siracusano Anselmo Madeddu, ha riacceso un enorme interesse sulla probabile origine siciliana dei Bronzi di Riace.

I risultati dell’indagine hanno dimostrato che le terre utilizzate per saldare le giunture dei celebri Bronzi sono pressoché identiche a quelle prelevate nei pressi della foce del fiume Anapo.

Ma l’ipotesi siciliana dei Bronzi di Riace non è del tutto nuova. Il primo a sostenerla fu il grande archeologo americano Robert Ross Holloway, che negli anni ’80 raccolse importanti testimonianze sul loro originario recupero in acque siciliane. Una tesi poi ripresa da un’altra celebre archeologa americana, Anne Marguerite McCann, e poi ulteriormente approfondita proprio da Anselmo Madeddu, che con un imponente mosaico indiziario ha ipotizzato che si fosse trattato del gruppo scultoreo del “Re Gelone nudo che depone le armi davanti al popolo”.

Un famoso capolavoro innalzato per celebrare la vittoria di Gelone sui Cartaginesi ad Imera, e descritto da cinque storici: Diodoro Siculo, Polieno, Eliano, Plutarco e Dione Crisostomo. Secondo l’ipotesi questo gruppo scultoreo (leggasi i Bronzi di Riace) sarebbe affondato davanti alla costa ionica siciliana lungo il tragitto da Siracusa a Roma, nel 212 a.C., epoca in cui il console Marcello, come ricorda Tito Livio, trasportò a Roma tutti i capolavori statuari di Siracusa, subito dopo la sua conquista.

Il testimone

Una clamorosa conferma di questa ipotesi ci viene oggi dalle rivelazioni rilasciate in questi giorni da un testimone al Tg di Rai 3 Sicilia.

Una testimonianza che rivelerebbe come i celebri Bronzi fossero stati ripescati originariamente non a Riace, ma a Brucoli, e solo dopo condotti in Calabria da un potente boss della ‘Ndrangheta.

Il testimone, per motivi legati alla propria incolumità preferisce mantenere l’anonimato. Lo chiameremo con il nome di fantasia Enzo. Ecco la sua testimonianza.

Signor Enzo, innanzitutto, lei da chi ha saputo questa storia?

«Direttamente da colui che organizzò l’intera operazione del recupero e poi della vendita di alcune delle statue. Quando lo conobbi all’estero e cominciai a lavorare per lui, acquistandomi la sua totale fiducia, non ne conoscevo ancora la vera identità. Poi, quando capii di chi si trattava me ne allontanai. Fu lui a confidarmi tutto quando ancora si fidava di me e arricchiva il suo racconto con tanti particolari».

Dunque, come avvenne la scoperta dei Bronzi e cosa venne trovato?

«Dalla fine degli anni ’60, ogni estate alcuni subacquei romani scendevano a Brucoli, borgo di Augusta, per pescarvi il corallo a 90 metri di profondità. Furono loro che scoprirono il relitto con il carico nell’estate del 1971. Si trattava di tre guerrieri muniti di elmi, lance e scudi, di altre due statue ed anche di due grandi leoni di bronzo. E furono sempre loro a rivolgersi a questo boss calabrese».

Chi era questo boss?

«Un uomo molto potente, una sorta di tramite tra la politica e la mafia, legato anche ai servizi segreti. Non mi faccia dire altro, perché non posso».

E poi cosa successe?

«Questo boss, dopo aver organizzato il recupero con palloni e sommozzatori tacitati probabilmente con opportuni compensi, li fece trasportare con un grande peschereccio nel sud della Calabria, l’area che controllava meglio e lì vennero tenuti in custodia in attesa della vendita. Una operazione che non potè essere svolta in piena clandestinità se non con opportune coperture».

E come ci finirono poi le due statue nel fondale di Riace?

«Non saprei dirle, so solo che le altre statue furono vendute all’estero. Pertanto posso solo immaginare che le ultime due, non ancora vendute, dovettero nasconderle in mare, sotto la sabbia del fondale di Riace, forse per sfuggire ai controlli. I trafficanti ricorrono spesso a questi “ripostigli clandestini”. Ma quest’ultima è solo una mia ipotesi».

Un’ultima domanda: perché si è deciso a parlare solo ora, a distanza di tanti anni dal ritrovamento delle due statue?

«In realtà ci ho provato anche prima, rivolgendomi anche alle forze dell’ordine, ma ho trovato sempre dei muri di gomma. È una verità molto scomoda che si è sempre tentato di insabbiare. E io ho sempre avuto paura. Ma adesso ho avuto il coraggio di farlo, con le dovute cautele».

Fin qui le dichiarazioni del signor Enzo. Dichiarazioni che, se dovessero rivelarsi veritiere, finirebbero col dover riscrivere la storia dei Bronzi di Riace e del loro mistero.

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