L’ultima frontiera dei trafficanti: guadagnare di più e rischiare meno

Di Fabio Russello / 23 Giugno 2019

Agrigento. Massimizzano i guadagni e minimizzano i rischi per i loro uomini. Le organizzazioni di trafficanti di esseri umani cambiano pelle e da qui in avanti – secondo le previsioni della Procura di Agrigento – dobbiamo aspettarci sempre meno gommoni e sempre più «mother boat», le navi madre, che sotto le mentite spoglie di pescherecci nascondono invece sottocoperta i profughi che, al limite delle acque territoriali, vengono trasbordati sui barchini al traino, forniti di un gps e di un motore da quattro cavalli, e lasciati andare verso Lampedusa. Per l’organizzazione si guadagna di più perché il peschereccio può essere “riutilizzato” (e il gommone no) e si rischia di meno perché gli scafisti fanno rientro alla base e non rischiano di essere scoperti – anche se mischiati con gli altri profughi sul gommone – e condannati a pene durissime (anche quindici anni). Conviene pure ai profughi che pagano di più – dai 3 ai 5 mila dollari Usa – ma che hanno il 100 per cento o quasi di possibilità di sopravvivere alla traversata perché i pescherecci sono infinitamente più sicuri dei gommoni.

«Ma individuare i pescherecci che anziché pescare trasportano migranti sottocoperta – ha spiegato il procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella – non è affatto facile. In questa zona del Mediterraneo incrociano centinaia di pescherecci e anche il semplice fatto di trainare un barchino non dà la certezza che serva a trasbordare i migranti. Spesso quei barchini sono parte integrante di tecniche di pesca nelle quali tunisini e libici sono tra i migliori».

L’ultimo caso di una «nave madre» fermata risale al novembre scorso e non dipende certo dalla qualità dei controlli a mare. I trafficanti infatti sfruttano a loro favore anche le convenzioni internazionali piegando alla logica del guadagno quegli accordi che invece sono stati stipulati per garantire la sovranità nazionale e ovviamente la sacralità della vita.

«L’Italia ha modificato il suo livello di intervento e di soccorso – ha spiegato il procuratore Vella –. Prima il nostro Paese interveniva anche in acque Sar maltesi. Ora la prassi è quella di intervenire solo in acque Sar italiane. A sud di Lampedusa però la competenza è maltese, quindi i trafficanti sanno che i gommoni non sarebbero soccorsi. Ecco perché c’è l’impiego massiccio delle “navi madre”. Lasciano il barchino in acque internazionali, dove sono pressoché intangibili, e fanno ritorno in Libia». Le acque Sar sono secondo le convenzioni internazionali le zone di competenza nelle quali ogni Paese è tenuto a fornire il soccorso. E a sud di Lampedusa, oltre le acque territoriali, la competenza è maltese. Ma in acque internazionali si può solo soccorrere mentre non si possono compiere azioni di polizia se il natante in questione batte una bandiera. Non c’è insomma la giurisdizione.

Stavolta però il barchino bloccato dalla Finanza e riconosciuto dal dispositivo Frontex è stato considerato come una “articolazione” della nave madre, elemento che ha permesso l’inseguimento e il blocco del peschereccio anche se in acque internazionali.

«La previsione – ha detto il procuratore Salvatore Vella – è che per un certo periodo i trafficanti utilizzeranno il sistema delle “navi madre” ed è per questo che si sta cercando di affinare sempre meglio le tecniche per individuarle e fermarle».

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Pubblicato da:
Redazione
Tag: immigrazione lampedusa nave madre procura di agrigento salvatore vella