Loris, il procuratore Petralia: «Cambia versione? A noi non cambia nulla: è stata Veronica»

Di Mario Barresi / 03 Dicembre 2015

RAGUSA. Se fosse la scena finale della puntata di un poliziesco americano, ti aspetteresti da un momento all’altro che lui – il grande capo dell’accusa – con fare silenzioso, magari concedendosi il “lusso” umano di un sospiro, prenda il faldone dell’indagine, la più importante dell’ultimo anno della sua carriera, e lo riponga su uno scaffale. Non prima di aver scritto sul dorso: «Archivato». Veronica Panarello sarà processata. Un rito abbreviato nel quale, a questo punto, diventa decisiva la perizia psichiatrica. Eppure per Carmelo Petralia, procuratore di Ragusa, il caso – di fatto – è chiuso. Non da ieri, con la sostanziale vittoria davanti al gup. E nemmeno dal vorticoso novembre, con la donna che ha ammesso una delle accuso. Il “fascicolo Panarello”, per Petralia è blindato da ottobre, dal decreto conclusione delle indagini. Che, per il procuratore, ha significato: nient’altro da aggiungere, il nostro lavoro è finito. Per usare le sue parole: «Nell’impostazione dell’accusa non è sostanzialmente cambiato nulla. Le nuove dichiarazioni e il cambiamento delle versioni della Panarello non modificano quello che è la posizione della Procura. Semmai ci conferma le acquisizioni fatte in fase di indagini preliminari».

IL GUP HA DETTO SI’ ALL’ABBREVIATO CONDIZIONATO

Procuratore Petralia, è sgradevole usare questo termine, ma professionalmente si ritiene soddisfatto del risultato raggiunto?

«Noi non siamo “soddisfatti”, se il termine è questo, nemmeno quando una persona della quale sosteniamo la colpevolezza viene condannato all’ergastolo. Noi siamo confortati della correttezza del nostro lavoro quando riusciamo ad arrivare alla verità e i giudici di ogni livello condividono il lavoro svolto secondo legge».

 

Rispetto alla prima versione iper-innocentista mantenuta immutata per dieci mesi, l’ammissione di una delle due ipotesi di reato è comunque un vantaggio per voi. Metà del lavoro è fatto…

«In questo momento la signora sostanzialmente ha ammesso il reato l’occultamento di cadavere e ha dato una sua versione su quello che si è verificato e che ha determinato la morte del bambino. È la sua ultima versione, ne abbiamo preso atto, ma… ».

 

Ma la Procura non crede alla tesi dell’incidente. E ritiene che il delitto sia stato premeditato.

«Per noi rimane ferma l’impostazione che abbiamo dato. Con l’aggravante della premeditazione, aggiunta nell’udienza preliminare, la quale serve, e ci tengo a precisarlo, per andare verso il dibattimento. Nell’udienza nella quale dobbiamo cristallizzare quella che sarà l’accusa verso un dibattimento che può esserci o meno, l’imputazione va cristallizzata con tutti gli elementi che la determinano. Per completare la qualificazione dei fatti si doveva contestare la premeditazione».

 

Ecco, quali sono gli elementi della premeditazione?

«Gli elementi sono numerosi. Mi limito a citare soltanto quelli già noti: l’auto posteggiata a marcia indietro davanti al garage, il sopralluogo al canalone e altri elementi che si sono aggiunti via via, strada facendo. E che non è corretto aggiungere in questa sede».

 

La vostra richiesta dell’aggravante della premeditazione favorisce in un certo senso la difesa perché aumenta la già difficile ricerca del movente, finora vagamente accennato soltanto dal Riesame?

«Una cosa è la fase cautelare, una cosa è la fase dell’udienza preliminare, un’altra è la fase del giudizio nella quale il fatto va accertato nella sua completezza. Quindi ai fini di consentire a un ipotetico giudice di poter valutare i fatti abbiamo ritenuto di aver fornito tutti gli elementi utili, considerato peraltro che dal punto di vista sanzionatorio non cambia nulla perché la pena rimane sempre l’ergastolo, che nel caso poi di rito abbreviato scende a 30 anni».

 

Umanamente, da uomo e da padre di famiglia, come ha vissuto quest’ultimo anno? Questo caso è stato forse uno dei casi più terribili della sua carriera.

«Questo è fatto tristissimo e coinvolgente, che non può non toccarti dal punto di vista umano. Noi, però, abbiamo il dovere di avere un approccio il più laico possibile di fronte ai fatti. Quando dobbiamo accertare i fatti non possiamo che spogliarci della componente emotiva». L’altro aspetto è legato al circo medicatico e agli eccessi morbosi legati al caso Loris. Come l’ha vissuto? «Purtroppo è diventata una deriva inevitabile in casi come questi, in Italia. Poi in questo caso ci sono state delle componenti estranee che hanno contribuito a rendere ancor più mediatico il fatto».

 

Ovvero?

«Troppa gente che ha parlato con troppi media, spesso mettendosi a disposizione di essi. E poi delle fughe in avanti di trasmissioni, che più che di informazione, definirei di spettacolo. È sfuggito il tentativo di canalizzare un’informazione su binari della correttezza. All’inizio ci abbiamo provato, ma un caso così psicologicamente debordante non si può arginare. Peccato siano venute fuori notizie, soprattutto video che avrei preferito non vedere. E che noi non abbiamo mai assolutamente autorizzato».

 

Lei sosterrà in prima persona l’accusa da qui in poi?

«Seguiremo il giudizio abbreviato e decideremo».

 

Un’ultima domanda. Veronica Panarello potrà essere dichiarata incapace, del tutto o in parte. Sarebbe una beffa? E lei ci crede?

«Non mi faccia pronunciare su questo. Lasciamo che siano i periti a spiegarcelo».

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