Confermare la condanna all’ergastolo inflitta in primo grado a Gaetano Nicotra, u tuppu. Ha concluso così la sua requisitoria il sostituto procuratore generale Antonio Nicastro davanti alla Corte d’Assise d’Appello.
Il processo è quello sull’omicidio – rimasto irrisolto per decenni – del segretario Dc di Misterbianco Paolo Arena. Un delitto che fu uno tsunami per tutta la Sicilia. E fece tremare molti politici. All’epoca non c’era ancora stato l’assassinio di Salvo Lima, ordinato dai corleonesi.
Per il pg non ci sono dubbi che a ordinare quell’omicidio fu Tano Nicotra, fratello di quel Mario ammazzato nel 1989 nella guerra di mafia tra i Tuppi e il clan del malpassotu Giuseppe Pulvirenti. E la colpa di Arena sarebbe stata quella di spostare i favori (per gli appalti) verso gli storici rivali. Un cambio di rotta che non fu perdonato. All’epoca i Tuppi erano scappati da Misterbianco in Toscana per sopravvivere alla lupara del malpassotu. E dalla maremma sarebbe arrivato l’ordine del boss e sarebbe partito il commando di fuoco. A confessare di essere uno dei killer che quel giorno lontano ammazzò il politico etneo è stato Luciano Cavallaro, che Nicastro ritiene attendibile. Le sue dichiarazioni – ha più volte affermato il magistrato ieri mattina in udienza – sono state riscontrate.
Paolo Arena fu ucciso il 28 settembre 1991. Il cadavere del segretario della Democrazia Cristiana fu rinvenuto a pochi passi dal municipio di Misterbianco. «Quella mattina abbiamo fatto un paio di giri con l’Alfa 75 per rintracciarlo, poi ci hanno detto che Paolo Arena stava posteggiando e lo abbiamo raggiunto. Appena Arena è sceso dalla macchina Rivilli (che è stato assolto in primo grado, ndr) ha sparato il primo colpo con la lupara, poi io gli ho sparato in faccia con il fucile», ha raccontato il pentito nel corso del dibattimento di primo grado. La mattina dell’omicidio, a pochi metri dalla scena del crimine, si stava celebrando un matrimonio. Cavallaro per farsi spazio tra la folla di ospiti delle nozze avrebbe sparato “uno o due colpi in aria con la 38” che aveva portato. A dire del collaboratore, infatti, sia lui che Rivilli avrebbero avuto sia un fucile che una pistola. I due poi si sarebbero nascosti fino al calar della sera, poi avrebbero bruciato l’Alfa 75 rubata e avrebbero seppellito le armi, però mai più ritrovate. “Dopo l’omicidio siamo tornati a Firenze. E abbiamo detto a Nicotra quello che avevamo fatto”, ha raccontato in videoconferenza durante l’udienza il processo di primo grado.
La Corte d’Appello d’Assise ha aggiornato il processo al prossimo 25 maggio per le arringhe dei difensori. E poi il 22 giugno ci saranno le repliche delle parti e il verdetto