ENNA – Quando i magistrati gli hanno mostrato l’esito dell’esame del Dna è crollato e ha confessato tutto, abbassando il viso per la vergogna: «E’ vero, sono stato io…». Una violenza ancora più odiosa perchè consumata ai danni di una ragazza incapace di difendersi e di raccontare cosa era accaduto. E’ stata inchiodato così alle sue responsabilità L. A. , 39 anni, l’operatore sanitario dell’Oasi di Troina che nell’aprile scorso ha violentato una disabile affetta da gravissime patologie connesse ad una malattia genetica e che ora aspetta un bambino.
Le indagini della squadra mobile di Enna guidata da Nino Ciavola, che ha da subito attivato il «codice rosso», sono scattate dopo la denuncia del legale della famiglia della giovane. I genitori, ascoltati dalla squadra mobile, hanno confermato che sarebbe stato il personale della struttura ad informarli della gravidanza della figlia, quando ormai era giunta alla 25ª settimana di gestazione.
All’Oasi, infatti, nessuno si sarebbe accorto della gravidanza ritenendo che l’aumento di peso della ragazza dipendesse dal fatto che, durante il lockdown, ai degenti era permesso di mangiare di più o a causa dei farmaci. Dopo decine di audizioni e prelievi di campioni salivari per estrarre il Dna dal personale che in quel periodo accedeva alla struttura, dichiarata «zona rossa» dopo il contagio di 162 tra operatori e ricoverati, ieri mattina è stato convocato l’operatore socio sanitario, dipendente della struttura di Troina da due anni.
Sarebbero state anche le rivelazioni di alcuni dipendenti a mettere gli investigatori definitivamente sulla pista giusta, ma sarebbe stato l’esame del Dna a dare un volto al “mostro di Troina”.
L’uomo, sposato con figli, è subito apparso nervoso ed è caduto più volte in contraddizione di fronte agli investigatori che gli dicevano di sapere che era lui il responsabile di quel gesto. L’interrogatorio si è fatto sempre più pressante. Fino a quando non ha ammesso di essere il responsabile di quell’atto brutale. Durante una delle tante notti prestate in struttura, approfittando dell’assenza temporanea dell’infermiere, l’operatore avrebbe violentato la giovane che conosceva da anni. «Sì – avrebbe detto il lacrime – ho abusato di lei, ma soltanto una volta».
Dopo la denuncia, presentata l’11 settembre scorso, le indagini sono state subito indirizzate all’interno della struttura, che proprio in quei giorni di aprile era «blindata» a causa dell’alto numero di contagiati, e in particolare si sono concentrate sugli operatori che erano in servizio nel reparto destinato ai pazienti Covid. Il cerchio è stato chiuso in meno di un mese dagli investigatori.
Adesso i responsabili dell’Oasi di Troina, centro di ricerca riconosciuto a livello internazionale fondato nel 1953 da padre Luigi Ferlauto, preannunciano sanzioni disciplinari ma difendono i propri operatori. «In 65 anni di vita è la prima volta che ci troviamo di fronte ad un evento simile – dicono – Tutti i nostri operatori sono da sempre educati, non solo a livello professionale, ma anche a livello etico attraverso specifici corsi sulla mission dell’Opera».
Nei confronti dell’Oasi Maria Santissima di Troina la Procura di Enna aveva già aperto un’indagine, dopo che la struttura era stata dichiarata «zona rossa», ipotizzando i reati di omicidio colposo ed epidemia colposa. Per fronteggiare il focolaio la Regione aveva inviato all’Oasi un commissario per l’emergenza ed erano arrivati infermieri e medici dell’Esercito e della Marina. Dagli accertamenti erano emersi ritardi e caos nella gestione dei primi contagi tra gli ospiti della struttura e mancato isolamento dei casi sospetti, mentre una relazione interna dell’Asp di Enna parlava di «governance» poco chiara.
Da qui il commissariamento da parte della Regione che oggi ha inviato un nuovo commissario per fare chiarezza anche sul caso della giovane disabile violentata. Il suo futuro e quello del bambino che ha in grembo restano un’incognita. La ragazza infatti non potrà rimanere all’Oasi ma attualmente non ci sono altre strutture in Sicilia in grado di ospitarla.