L’inchiesta nei confronti dell’associazione mafiosa Cosa nostra, ed in particolare del clan dei Rinzivillo, ha consentito agli investigatori di accertare che la famiglia di Gela è risultata allo stato composta da un’ala criminale (che si occupa di traffico internazionale di sostanze stupefacenti, estorsioni, intestazioni fittizie e traffico di armi) e da un’ala imprenditoriale (che si occupa invece di edilizia, di trasferimento fraudolento di beni nonchè di commercializzare di autoveicoli, alimenti in genere e prodotti ittici in particolare). Sul fronte criminale, l’associazione mafiosa è risultata attiva nello storico settore delle estorsioni. In particolare, è stato documentato come Salvatore Rinzivillo, direttamente o per il tramite dei suoi affiliati, fosse solito pretendere il pagamento di somme di denaro a titolo estorsivo; richiedere modalità di pagamento indebite rispetto a forniture di prodotti ittici; procedere al violento recupero di crediti. L’organizzazione è risultata dotata di “una allarmante potenza di fuoco”, sottolineano gli inquirenti, essendo in possesso di più armi, a disposizione del clan mafioso per eventuali intimidazioni e regolamenti di conti. Sul fronte imprenditoriale, di primaria importanza è risultato l’interesse per la commercializzazione di prodotti ittici sull’intero territorio nazionale e all’estero, in forza di accordi intercorsi tra il boss gelese Salvatore Rinzivillo e importanti esponenti della mafia palermitana.
Le indagini svolte dalla Squadra Mobile di Caltanissetta e dal Gico di Roma, nell’ambito dell’operazione contro il clan mafioso dei Rinzivillo di Gela, ha fatto luce sull’esistenza di un vero e proprio accordo di spartizione territoriale per il commercio di prodotti ittici in tutta la Sicilia, con mire espansionistiche anche sui mercati romano, milanese e tedesco, nonchè dimostrato come la cosca abbia utilizzato le società ittiche per il reimpiego dei proventi illeciti derivanti dalle attività criminali della famiglia mafiosa.
Il “patto mafioso” sul commercio di pesce, peraltro, secondo gli investigatori, avrebbe consentito a Salvatore Rinzivillo di “infiltrarsi” nel mercato di settore per mezzo di imprese mafiose da lui controllate, riferibili ai gelesi Carmelo e Angelo Giannone, padre e figlio. Salvatore Rinzivillo avrebbe preteso contatti con esponenti mafiosi di Mazara del Vallo (costringendo taluni imprenditori locali a fornire il pesce a credito piuttosto che a fronte di pagamento in contante all’atto della consegna), con importanti pregiudicati messinesi e perfino con un boss italo-americano del calibro di Lorenzo De Vardo, residente a New York, anche per l’avvio di importanti iniziative economico-commerciali, già noto sin dai tempi del maxi processo di Palermo, quale appartenente alla “famiglia mafiosa Bonanno – fazione Catalano di Cosa Nostra”.