ROMA – “Stiamo bene ma psicologicamente devastati, vogliamo tornare a casa”. Sono le prime parole da uomini liberi di Gino Pollicardo e Stefano Calcagno, i tecnici della Bonatti rapiti otto mesi fa in Libia insieme con altri due colleghi, che invece sono rimasti uccisi mercoledì. Adesso sono al sicuro, in attesa di un rapido rimpatrio. Non è chiaro, invece, se i due si siano liberati da soli o se in seguito ad un blitz di milizie locali di Sabrata contro un gruppo jihadista. Numerosi sono i punti oscuri sulla dinamica che ha portato alla fine della loro prigionia, come anche alla tragica morte di Salvatore Failla e Fausto Piano. La notizia sulla liberazione di Pollicardo e Calcagno, diffusa dal quotidiano la Stampa, è stata confermata in tarda mattinata dalla Farnesina. I due, è stato spiegato, sono in buona salute e si trovano sotto tutela del Consiglio militare di Sabrata, città a ovest di Tripoli dove le milizie locali da giorni fronteggiano gruppi filo-Isis. A tranquillizzare i familiari ci pensano i due tecnici, in un video che li ritrae seduti uno accanto all’altro, visibilmente dimagriti: “Sono Gino Pollicardo e sono qui con il mio collega Filippo Calcagno. Siamo in un posto sicuro, in un posto di polizia qui in Libia. Stiamo bene e speriamo di tornare urgentemente in Italia perché abbiamo bisogno di ritrovare la nostra famiglia”, spiegano.
Su un biglietto, scrivono di stare “bene fisicamente ma psicologicamente devastati”. E riescono a parlare al telefono con i propri cari. Fonti di intelligence hanno poi reso noto che presto saranno trasferiti in una ‘zona sicurà e presi in consegna da agenti italiani che li riporteranno in patria. Saranno “restituiti immediatamente all’Italia una volta terminati gli interrogatori”, ha in serata riferito all’ANSA il capo del Consiglio militare di Sabrata Altaher Algrabli che ha aggiunto che i corpi di Failla e Piano arriveranno domani a Tripoli dove saranno “terminate le autopsie e le altre procedure”. Le salme “saranno rimpatriate nel più breve tempo possibile”, ha precisato. La dinamica dei fatti, invece, è ancora tutta da chiarire. Il capo del Consiglio municipale di Sabrata, Hussein al-Zawadi, ha sostenuto che Pollicardo e Calcagno erano in mano ad un gruppo filo-Isis e sono riusciti a sfondare da soli la porta della casa in un cui erano tenuti prigionieri, nella parte nord-ovest della città.
Allertati da vicini di casa sono poi intervenuti i miliziani locali che li hanno trovati in buone condizioni, anche se non mangiavano da una settimana. Sempre da Sabrata, il capo del Consiglio militare Algrabli ha poi spiegato che la liberazione è avvenuta attraverso un blitz in un immobile vuoto, controllato da un altro gruppo dell’Isis rispetto a quello che deteneva i tecnici rimasti uccisi. Nel blitz, le milizie avrebbero messo in fuga i jihadisti, provocando la morte di tre uomini.
Due donne che erano con loro hanno attivato le cinture esplosive e sono morte insieme a tre bambini. Anche sulla morte di Failla e Piano c’è poca chiarezza. Sempre secondo il sindaco di Sabrata, i due ostaggi sarebbero rimasti uccisi negli scontri tra jihadisti dell’Isis e truppe fedeli a Tripoli insieme a milizie alleate. Ma non è chiaro se siano morti nel loro “carcere” o durante un conflitto a fuoco in mezzo al deserto, oppure se giustiziati con un colpo alla nuca o utilizzati come scudi umani. Risposte importanti dovrebbero arrivare dall’autopsia disposta dalla Procura di Roma, non appena i corpi rientreranno in Italia.
Allo stesso modo, Pollicardo e Calcagno potranno fornire informazioni decisive per scoprire da chi sono stati rapiti, lo scorso luglio, nel caos di un Paese senza pace da 5 anni in cui bande criminali, milizie rivali e gruppi jihadisti si contendono il territorio, utilizzando gli stranieri come merce di scambio per denaro o per guadagnare spazio politico. Al momento, si registra il sollievo e la gioia per i familiari e gli amici di Calcagno e di Pollicardo, che aspettano di festeggiare il rientro dei propri cari. E all’opposto, il dolore e la rabbia tra i familiari di Piano e di Failla, che adesso pretendono spiegazioni. Ad esempio, come è stato possibile che l’uccisione dei loro cari e il rilascio dei colleghi sia avvenuto ad appena 24 ore di distanza.