Un incendio doloso, il terzo nel giro di sette anni, ha nuovamente danneggiato un padiglione del Centro di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa che ospita in questo momento 517 migranti. Fortunatamente non si registrano vittime nè feriti. Il rogo sarebbe stato appiccato da un gruppo di tunisini. Quattro di loro, fortemente sospettati di essere i responsabili, sono stati fermati mentre tentavano di allontanarsi dal padiglione.
Le fiamme, divampate in serata, si sono levate altissime e da contrada Imbriacola sono state viste in tutta l’isola. Le squadre dei Vigili del fuoco, che operano all’interno del Cpsa, sono entrate subito in azione riuscendo in poco tempo a domare l’incendio e a compiere un primo sopralluogo. Anche se è ancora presto per fare una conta dei danni, l’interno della struttura sarebbe stato completamente divorate dalle fiamme. Il padiglione danneggiato, che ospita i migranti adulti maschi, era già andato completamente distrutto in seguito ad altri due incendi appiccati dai migranti in rivolta prima nel 2009 e successivamente nel 2011.
L’edificio, uno dei tre che compongono il Cpsa, per due volte era stato interamente ricostruito. Secondo una prima ricostruzione dei carabinieri, che stanno conducendo le indagini, il rogo potrebbe essere stato appiccato dai tunisini dopo che si era diffusa la voce di un loro possibile rimpatrio coatto in aereo, visto che non hanno diritto ad accedere allo status di rifugiati.
Proprio ieri a Lampedusa si erano registrati gli ultimi due sbarchi: un gruppo di 14 tunisini era approdato in mattinata direttamente a Cala Galera; altri 35 erano stati intercettati in serata dalla Guardia Costiera nei pressi dell’isola. All’interno del Centro di accoglienza, che funge anche da Hot spot, nelle ultime settimane si erano registrate forti tensioni legate al rifiuto da parte di un gruppo di profughi, soprattutto eritrei e yemeniti, di sottoporsi alle procedure di identificazione e al rilascio delle impronte digitali. Una ventina di loro ha anche manifestato in piazza, davanti alla Chiesa madre e alla villa comunale, dando vita a uno sciopero della fame e della sete durato quattro giorni.