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L’ammiraglio catanese col vizietto dei reati: dopo le mazzette, la bancarotta

Di Vittorio Romano |

CATANIA – Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Dopo essere stato coinvolto, e perfino arrestato due anni fa per una brutta storia di appalti truccati per 11 milioni e mezzo di euro, adesso un’altra tegola cade sulla testa dell’ex ammiraglio della Marina militare italiana Giovanni Di Guardo: il pubblico ministero Fabio Saponara, della Procura della Repubblica etnea, ha infatti concluso le indagini per bancarotta fraudolenta nei confronti dell’alto ufficiale che, partendo da Catania – sua città di origine – ha scalato sino ai vertici la gloriosa forza armata per poi cadere rovinosamente prima con la degradazione e poi con l’espulsione. Di Guardo fu arrestato nel corso dell’operazione “Backhander” che vide la Procura di Taranto assicurare alla giustizia 12 persone (tra le quali il commissario di Marina Francesca Mola, prima donna militare italiana ad essere ammanettata) e indagarne altre 5.

Ma evidentemente al militare non bastavano le decine di migliaia di euro che è stato accertato aver ricevuto sotto forma di tangenti. E infatti, approfittando del fatto che nell’Isola di Malta c’è la missione militare italiana in pianta stabile per l’ausilio alle forze della Marina maltese (Miatm – Missione italiana di assistenza tecnico-militare), Di Guardo avrebbe architettato una “frode carosello” comunitaria costituendo una società in Italia e un’altra a Malta: la prima comprava capi di abbigliamento di marca senza pagarli, ottenendo credito dalle principali case di moda del Belpaese proprio in virtù del fatto che l’alto graduato delle Forze armate godeva di parecchio credito per il suo status di ufficiale della Marina militare italiana; poi li spediva alla società maltese (sempre di proprietà del Di Guardo) che ometteva di pagarli e provvedeva a farne perdere le tracce.

I debiti dunque si accumulavano sulla società italiana, dove il Di Guardo compariva solo come socio, sino a che i creditori hanno provveduto a farne dichiarare il fallimento. I magistrati della Procura di Catania hanno voluto vederci chiaro e hanno avviato un certosino lavoro d’indagine. I forti sospetti erano dovuti alla mole di credito concessa ad una società nullatenente amministrata da una “testa di legno” (che è risultato essere un impiegato al soldo del medesimo Di Guardo). E così, dopo la verifica effettuata anche sui terminali, sulla posta elettronica e sui viaggi del Di Guardo a Malta (indagini eseguite anche con l’ausilio dell’Interpol), la Procura della Repubblica ha portato alla luce che l’ex ammiraglio, pur non comparendo, era l’amministratore di fatto sia della società italiana sia di quella maltese (dove l’amministratore era un commercialista maltese) e che tutti i passaggi di merce e denaro erano riconducibili direttamente a lui.

Allo stato dunque il Di Guardo (che dopo una lunga detenzione in attesa di giudizio è stato liberato e risiede in Toscana) è stato raggiunto da un avviso di conclusione delle indagini preliminari che lo vede indagato per bancarotta fraudolenta con la recidiva e con l’aggravante di aver causato ai creditori un ingente danno economico.

All’ex alto ufficiale della Marina militare vengono contestati anche l’occultamento e la distruzione delle scritture contabili, al fine di impedire la ricostruzione della destinazione della merce sottratta. Circostanza, questa, su cui presumibilmente si sta ancora indagando.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA