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L’acqua in Sicilia tra reti colabrodo, bollette alle stelle e 400 mln nel cassetto

Di Giuseppe Bianca |

La dispersione delle reti idriche dell’Isola è cresciuta negli ultimi dieci anni, passando dal 36 al 45%, un fenomeno più rilevato nella parte interna della Sicilia, dove il quadro percepito spesso è sconfortante. Ad Agrigento, Enna e Caltanissetta si pagano circa 500 euro l’anno, contro una media nel Paese pari a 376 euro. Il quadro della provincia di Agrigento è significativo nell’analisi dei suoi numeri. A Porto Empedocle su una popolazione residente di 17.044 persone sono 8.186 le utenze e 6.390 le famiglie. Il volume giornaliero immesso è di 4.637 metri cubi. Le perdite arrivano al 56,04%. Più bassa la dispersione a Racalmuto (37,69%), mentre sale all’81,62% a Sambuca di Sicilia. Sciacca si ferma al 61,75%. Agrigento con portate medie di 216 litri a secondo ha un volume immesso di 18.698 metri cubi, un volume giornaliero fatturato di 8.313 metri cubi con una differenza di perdite del 55%. Le perdite raggiungono il 62,43% nel Comune di Favara, il 57,24% a Grotte, il 53,6% a Licata. Si risale a questi numeri confrontando il fabbisogno idrico dei singoli comuni, confrontato con il volume immesso nella rete di distribuzione e il volume fatturato, tramite il quale è possibile ricostruire il quadro delle perdite.

Siciliacque fornisce il servizio agli Ato idrici di Caltanissetta, Enna e Agrigento. Va meglio nel territorio della provincia di Enna, dove dal 2008 a oggi sono stati investiti 70 milioni di euro. La cifra è servita sia per lavori di manutenzione straordinaria che per la sistemazione di alcune delle reti. Nicosia, Agira, Piazza Armerina, Enna, Regalbuto e Leonforte i paesi sottoposti a interventi.

La maggior parte delle reti idriche oggi ammalorate fu concentrata in Sicilia nel periodo compreso tra il 1983 e il 1990. Reti che risalgono ai tempi in cui assessore ai Lavori pubblici era l’agrigentino Sciangula; non secondaria, ma difficilmente quantificabile, l’incidenza dei furti d’acqua. In compenso rimangono nel cassetto finanziamenti per 400 milioni di euro, fondi statali, mentre progetti nel triennio 2016-2019 nell’Agrigentino, tra risorse Cipe 60/12 e Patto per il Sud, attendono di potere essere portati avanti. Si tratta di interventi che riguarderebbero Agrigento (quattro progetti) principalmente per gli impianti di depurazione e di rete fognaria, e che coinvolgerebbero i territori di Caltabellotta, Montevago, Naro, Ravanusa, Siculiana, Campobello di Licata. E ancora Sciacca, Racalmuto, Porto Empedocle, Villafranca Sicula.

Nella normativa di settore nazionale si chiarisce che gli investimenti infrastrutturali non sono a carico della parte pubblica, ma di quella privata. La bolletta per questa ragione viene così scorporata in due parti, una sul costo di gestione, e una su quello infrastrutturale. Gli imprenditori che hanno avuto affidato il servizio di costruzione delle reti e gestione matureranno, in teoria, quando le infrastrutture saranno completate. Una correlazione tra il completamento della struttura, e l’ammortizzamento nel lungo periodo e la riduzione della tariffa viene rivendicata da chi cerca potenziamento delle reti e investimenti dei privati.

I costi della distribuzione incidono maggiormente per le città e i complessi urbani più strutturati, ma nelle realtà con minore densità abitativa o in zone montane il costo è minore e va da un minimo del 20% nel caso in cui l’acqua sia di proprietà della fonte a un massimo del 40%.

Girgenti Acque, per esempio, acquista l’acqua da Siciliacque a 1,68 euro a metro cubo, a differenza di chi detiene il possesso della sorgente che paga a 0,77 centesimi. Sono invece 17 i paesi nell’Agrigentino (il 13% del servizio, in gran parte detentori delle sorgenti), in cui a gestire sono i Comuni.

L’agenda del governatore Nello Musumeci dovrà tradurre in intervento legislativo la necessità di sintesi e di razionalizzazione, coniugando il miglioramento delle reti con la tasca del cittadino-utente.

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