PALERMO – «Non vi è dubbio che quell’invito al dialogo pervenuto dai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituisca un sicuro elemento di novità che può avere certamente determinato l’effetto della accelerazione dell’omicidio Borsellino, con le finalità di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente da istituzioni dello Stato».
Ecco spiegato, secondo la Corte d’assise di Palermo, il motivo che portò i boss ad accelerare l’omicidio del giudice Paolo Borsellino. E’ uno dei passaggi della motivazione della sentenza di condanna sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, lunga oltre 5.200 pagine, e depositata oggi in cancelleria. «Non vi è dubbio» che i contatti fra gli ufficiali dei carabinieri Mori e De Donno con Vito Ciancimino, unitamente al verificarsi di accadimenti (quali l’avvicendamento di quel ministro dell’Interno che si era particolarmente speso nell’azione di contrasto alle mafie, in assenza di plausibili pubbliche spiegazioni) che potevano ugualmente essere percepiti come ulteriori segnali di cedimento dello Stato, ben potevano essere percepiti da Salvatore Riina già come forieri di sviluppi positivi per l’organizzazione mafiosa nella misura in cui quegli ufficiali lo avevano sollecitato ad avanzare richieste cui condizionare la cessazione della strategia di attacco frontale allo Stato», dicono i giudici che hanno condannato il generale Mario Mori e il generale Antonio Subranni.
Nelle oltre cinquemila pagine ci sono diversi passaggi su quel periodo buio della storia italiana. «E’ logico ritenere – scrivono i giudici – che Riina, compiacendosi dell’effetto positivo per l’organizzazione mafiosa prodotto dalla strage di Capaci, possa essersi determinato a replicare con la strage di via D’Amelio quella straordinaria manifestazione di forza criminale già attuata a Capaci per mettere definitivamente in ginocchio lo Stato e ottenere benefici sino a pochi mesi prima (quando vi era stata la sentenza definitiva del maxi processo) assolutamente per lui impensabili».
Secondo i giudici poi «Subranni, Mori e De Donno, qualunque fossero le ragioni che li animarono, hanno di fatto consapevolmente reso attuale il proposito criminoso di Riina, da un lato aprendo il canale di comunicazione tramite Vito Ciancimino, e dall’altro esortando i vertici mafiosi a formulare le condizioni per la cessazione delle stragi e dunque a
formulare la minaccia e il ricatto mafioso».
La Corte di Assise di Palermo ha condannato a pene comprese tra 8 e 28 anni di carcere per al cosiddetta trattativa Stato-Mafia gli ex vertici del Ros Mori, Subranni e De Donno, l’ex senatore Dell’Utri, Massimo Ciancimino e i boss Bagarella e Cinà. Assolto dall’accusa di falsa testimonianza l’ex ministro democristiano Nicola Mancino.