Lo splendore di una storia plurimillenaria, fatta di tiranni e di grandi filosofi, di invasioni, di contaminazione culturale (come si direbbe oggi con il linguaggio del politically correct) e di stagioni di apertura mentale che poche altre terre – in Europa e fuori d’Europa – possono vantare. È la Sicilia di Sicily, culture and conquest, la grande mostra dedicata dal British Museum di Londra, istituzione simbolo di un’isola del nord, ai capolavori e alle radici antiche di un’affascinante isola del sud.
Realizzata in collaborazione con la Regione Siciliana, e inaugurata oggi dall’ambasciatore d’Italia, Pasquale Terracciano, l’esibizione si annuncia alla stregua di uno dei maggiori eventi culturali di stagione nella capitale britannica, come concordano tutti i grandi giornali del regno. Allinea centinaia di oggetti dall’epoca Greca a quella Normanna, dagli ori ereditati dalla classicità alle sculture coeve della mirabile Cappella Palatina: non pochi dei quali mai usciti prima dalla Sicilia.
Vestigia di una terra che, come ha rimarcato l’ambasciatore, nel suo passato cela l’impronta della super potenza: per aver giocato nei secoli un ruolo strategico nel Mediterraneo e soprattutto aver rappresentato – almeno a tratti – un modello di convivenza pacifica e di armonia il cui esempio ha qualcosa da dire ancora oggi.
Un modello che ha visto offrire coesistenza (Arabi, Cristiani, Greci e Ebrei prosperavano insieme alla corte di Ruggero II il Normanno) e che nelle parole di uomo di diplomazia contemporaneo come Terracciano non possono non richiamare un messaggio di pace molto potente, pur a distanza di secoli, in tempi in cui il Mare Nostrum si ritrova coinvolto dalle tragedie dei migranti e le sue sponde riecheggiano la minaccia del terrorismo.
Il mito, ma anche la realtà documentata della Trinacria felix, filtrato da una storia che – dalle prime tracce del 2000 avanti Cristo ai Fenici, dai Greci ai Romani, dagli Arabi ai Normanni, dagli Angioini agli Aragonesi al Regno delle due Sicilie e allItalia unita – cattura del resto lattenzione della stampa e dei commentatori d’oltre Manica.
Come evidenzia ad esempio Jonathan Jones sulle pagine del Guardian, soffermandosi in particolare sul capitolo dei Normanni di Sicilia. Popolo che lasciò un’orma di conquiste e di vittorie anche sull’isola britannica, nella calata verso sud, come testimoniano le scene del celebre arazzo di Bayeux.
Ma che se nella memoria delle terre d’Albione mantengono una certa reputazione di ferocia risalente ai decenni del Medio Evo successivi all’anno 1000 (vittime forse anche della leggenda popolare di Robin Hood) in Sicilia toccarono senza discussioni vette di buon governo e di proficuo incrocio fra culture impensabili per l’epoca. E pure dopo.
Un momento che la mostra londinese suggella nello sguardo profondo e imperioso di un busto marmoreo di Federico II: il sovrano che, ricorda come rapito il Guardian, si guadagnò nell’Europa medievale del XIII secolo un appellativo, stupor mundì, in cui un’intera isola – pur con i suoi alti e bassi – ambisce tuttora a rispecchiarsi.