PALERMO – Il report “Abbatti l’abuso, i numeri delle mancate demolizioni nei comuni italiani” presentato da Legambiente a Palermo fotografa una situazione immutata dei casi più eclatanti nell’Isola. Uno scenario rispetto al quale le soluzioni si rincorrono, ma sembrano sfuggire a esiti probanti.
Nel dettaglio, la Sicilia ha il 9,3 per cento del totale nazionale delle ordinanze di abbattimento emesse (6.637) e di queste ne ha eseguite appena il 16,4 per cento (1.089). Una via di mezzo, rispetto al dato nazionale, a metà strada tra il problema e la soluzione, che imbarazza e che non restituisce l’agibilità di interventi nel breve e medio periodo. Con poche variazioni sul tema, e un consistente insoluto di esiti, restano i nodi della Valle dei Templi, dell’area di Triscina a Castelvetrano, ma anche l’Oasi del Simeto.
Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia, ribadisce che sono queste le zone siciliane maggiormente afflitte dal fenomeno dell’abusivismo edilizio. «Le nostre coste sono devastate dal cemento – ha detto – anche a causa della politica e dei suoi continui richiami nell’Isola a possibili sanatorie. Gli illeciti edilizi sono più evidenti soprattutto nella costa sud dell’Isola dal Trapanese all’Agrigentino, ma anche il resto della Sicilia non è immune».
Legambiente punta per questa ragione quindi a mantenere alto il livello attivo di interlocuzione con il governo e le istituzioni. Da qui l’appello al Parlamento perché i poteri per le demolizioni passino ai prefetti, «più liberi rispetto alle pressioni del territorio», anche se «continuano a esserci dei sindaci coraggiosi, determinati e onesti che abbattono gli abusi, come nel caso di Altavilla Milicia e di Carini», ha aggiunto Zanna. Sul fronte della lotta all’abusivismo «molto stanno facendo le Procure, che negli ultimi anni si sono date una mossa», ma l’intervento della magistratura è per il presidente di Legambiente Sicilia «il fallimento della politica che, al contrario, favorisce abusivismo».
Un fenomeno che va intaccato senza “guerre sante”, ma al tempo stesso senza desistere e senza cedere alle «campagne demagogiche e strumentali che invocano il “diritto alla casa”: gli abusi di cui parliamo – ha chiarito Zanna – non riguardano prime case di povera gente ma residenze di villeggiatura di professionisti spesso legati alla politica che si sono costruiti la villa sulla costa distruggendo i territori e privando i cittadini dell’opportunità di godere del mare».
Dal report emerge che degli oltre 71 mila immobili colpiti in Italia da ordinanza di demolizione l’80 per cento è ancora in piedi. Ecco perché Legambiente chiede al Parlamento di intervenire con una proposta legislativa che renda «più rapido ed efficace l’istituto delle demolizioni». Oltre ad avocare agli organi dello Stato le procedure, secondo l’associazione è necessario intervenire su altri tre aspetti: il controllo della Corte dei conti sul danno erariale prodotto; il rapporto tra la prescrizione del reato di abusivismo e la demolizione; l’effetto dei ricorsi per via amministrativa sull’iter delle demolizioni.
Infine Legambiente propone di istituire un fondo di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2025 per chiudere la stagione dei condoni edilizi e completare finalmente l’esame di milioni di pratiche ancora inevase e sepolte negli uffici comunali.
Secondo uno studio di Sogeea nel 2016 risultano ancora inevase 5.392.716 pratiche di condono edilizio, alcune addirittura risalenti al primo, quello del 1985. Infine, secondo Legambiente è necessario procedere all’emersione delle “case fantasma”, ovvero gli immobili non accatastati. A pesare sulle mancate demolizioni infatti incombe la successione dei fatti di territorio riconducibili a quello che viene definito “ricatto elettorale”. Con mani libere e minore pressione infatti viene rilevato che ad intervenire nel tempo sono stati gli amministratori che non avevano esigenza di riproporsi o che si trovavano al secondo mandato Per questo Legambiente ribadisce: «Assegniamo questa competenza allo Stato tramite i prefetti».