CATANIA – È come se, in un reparto di neonatologia, staccassero la spina alle culle termiche. Perché non è stata pagata la bolletta della luce. La storia è agghiacciante; ma, per fortuna, non si parla di bambini. Epperò aziende, sono. In tutto 11, con oltre un centinaio di occupati, insediate alla zona industriale di Catania, nei 5mila metri quadri dell’Incubatore di Sviluppo Italia Sicilia, società partecipata al 100% della Regione. Il rischio più immediato è il distacco dell’energia elettrica: 41.760 euro (per il periodo gennaio-aprile 2016) non pagati dall’ente regionale. E dunque il distributore – Europe Energy Gas & Power – martedì ha comunicato la «richiesta di sospensione della fornitura per morosità».
Già avviata la procedura di distacco, che compete all’Enel. Ieri pomeriggio gli imprenditori hanno deciso di mettere mano al portafogli: anticiperanno 15mila euro, per evitare il distacco dell’energia elettrica che significherebbe la fine delle attività. Un coraggioso atto di sopravvivenza. Ma l’eutanasia è soltanto rinviata.Il tutto in uno scenario desolante: degrado diffuso, servizi carenti, strade disastrate, zero manutenzione nelle parti comuni. Quanto può durare questa situazione? Se il termine di paragone è il periodo in cui, in media, la Regione dismette le proprie partecipate, allora l’agonia di queste aziende – quasi tutte start up innovative, molte dell’indotto dell’Etna Vally, alcune dépendance di multinazionali – potrebbe anche essere molto lunga. Perché la liquidazione di Sviluppo Italia Sicilia (nonostante sia stata più volte dichiarata «strategica e indispensabile» per l’economia dell’Isola) sta per diventare il solito salto nel vuoto. Ma a rischiare di schiantarsi, stavolta, sono anche 11 aziende. Queste: Pfeiffer Vacuum Italia Spa, Packaging & Graphic Srl, Isimed Srl, Eda Industries Spa, Semisystech Srl, Decap di Molino Giovanni, Mg Informatica Srl, Tokyo Electron Europe Ltd, Canon Italia Spa, M+W Italy Srl, Chematek Spa. Loro, nell’Incubatore – una sorta di spazio comune, in attesa magari di insediarsi all’Asi dopo la fase di avvio aziendale – non ci stanno certo gratis. Perché pagano canoni da 1.500 a 3.000 euro.
I titolari delle imprese hanno scritto al presidente Rosario Crocetta e agli assessori regionali Alessandro Baccei (Economia) e Mariella Lo Bello (Attività produttive), oltre che al liquidatore Carmelina Volpe, per metterli al corrente della loro drammatica situazione. Che dura ormai da mesi, con «l’aumento delle difficoltà nell’erogazione dei servizi» e il «persistere di una pressoché totale assenza di un piano industriale e di adeguate iniziative afferenti la governance della società».Intendiamoci: la Regione può anche chiudere una partecipata che non rientra più nei suoi interessi. Ma che diritto ha di buttare sul lastrico 11 aziende e oltre un centinaio di lavoratori? Gli imprenditori vedono all’orizzonte «consistenti danni alla nostra attività», col pericolo di «un grave impasse nel rinnovo dei contratti e l’acquisizione di nuove commesse». Denunciando anche che «un eventuale fermo aziendale avrà degli effetti deleteri sia sul personale diretto e indiretto, sia sui rapporti commerciali e produttivi in essere, sui quali gravano penali e risoluzioni contrattuali per inadempimento, con gravissimi danni economici per le Pmi allocate all’interno dell’incubatore di Catania».Nella terra in cui ci si riempie la bocca con slogan altisonanti a costo zero – del tipo «Catania, la capitale delle start up» – le speranze di sopravvivenza sono davvero ridotte. Una morte annunciata: 11 imprese “in fasce”. Una strage degli innocenti. Altri teschi, nel deserto di una zona industriale che è già il fantasma di se stessa.
twitter: @MarioBarresi