Cronaca
La mafia e il furto della Natività del Caravaggio in un video inedito
PALERMO – Il quadro della Natività, il capolavoro di Caravaggio rubato a Palermo nell’ottobre 1969, era finito in mano alla mafia. Prima di rivenderlo a un mediatore d’arte svizzero, il boss Gaetano Badalamenti cercò di avviare una trattativa con il parroco del tempo dell’Oratorio di San Lorenzo, Rocco Benedetto, dichiarandosi pronto a restituire la tela in cambio di denaro. Di questi contatti, mantenuti anche con lettere dei mafiosi e con annunci sui giornali, parlò lo stesso parroco al regista Massimo D’Anolfi che stava preparando un documentario sulle opere d’arte trafugate.
L’intervista, rimasta inedita e il cui contenuto viene ricostruito stamane in un servizio del quotidiano britannico «The Guardian», è stata prima consegnata alla polizia e ora ripescata dallo stesso D’Anolfi. Sarà presentata a Palermo in occasione di una mostra su opere e capolavori scomparsi.
Monsignor Benedetto, morto nel 2003 due anni dopo l’intervista, non era riuscito a convincere gli investigatori e il sovrintendente alle Belle arti del tempo che quella della mafia era la traccia giusta. Era stato addirittura indagato come complice dei ladri. Ma poi l’inchiesta era stata archiviata.
Nel video “dimenticato” don Benedetto riferisce anche delle scuse ricevute in seguito dal sovrintendente: “Ammise di avere fatto uno sbaglio, ma a quel punto il danno era fatto”.
La storia del Caravaggio tornò a incrociare quella del parroco dell’Oratorio alcuni anni dopo, all’inizio degli anni Settanta quando un prete di Carini lo chiamò per riferirgli di avere visto una fotografia del capolavoro rubato. «Mi disse – spiega nel video – che un dipinto appena restaurato era stato rubato poco dopo ed era convinto che fosse stata la mafia locale e quindi aveva contattato alcuni mafiosi per riaverlo. Mi disse che un giovane era venuto a mostrargli due immagini: una, era la foto del suo dipinto; l’altra, era la Natività. Lui indicò il suo dipinto – un’opera di un artista toscano di fama inferiore – e il quadro gli fu restituito».
Don Benedetto afferma di aver fornito alla polizia le nuove informazioni ma anche che non successe nulla. La polizia, secondo il prete, «conosceva da anni la posizione del dipinto. Era nella provincia di Palermo. I mafiosi lo usavano come sfoggio del proprio potere».
In effetti un informatore di mafia, Salvatore Cancemi, negli anni Novanta confermò che il Caravaggio veniva esposto in occasione di vertici dei capi mafia come simbolo del loro prestigio. Ma negli anni successivi se ne sono perse le tracce.
Nel giugno 2018 la Procura di Palermo ha riaperto l’inchiesta sul furto della Natività dopo che la commissione parlamentare Antimafia aveva presentato i risultati di una propria indagine dicendosi convinta, per bocca dell’allora presidente Rosy Bindi, che «quest’opera non è andata distrutta come si è pensato fino a un certo momento».
Secondo l’organismo parlamentare, dopo essere finita nelle mani di Cosa nostra, l’opera sarebbe stata trasferita in Svizzera, fatta a pezzi e venduta dai trafficanti di opere d’arte. «La mafia ne ha ricavato un consistente guadagno – aveva detto Rosy Bindi -. Speriamo di trovarne almeno un frammento. La nostra inchiesta è arrivata fino a questi risultati, sufficienti per riaprire, però, un’inchiesta giudiziaria».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA