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La mafia a Catania: «I clan e i “colletti bianchi” si cercano»

Di Concetto Mannisi |

Una criminalità organizzata che agisce sottotraccia, che non disdegna la collaborazione con gruppi storicamente rivali e che da tempo ha deciso di andare oltre i tradizionali affari legati a usura, estorsione e spaccio di sostanze stupefacenti. Adesso l’obiettivo è avvicinare i colletti bianchi, gli imprenditori, infiltrarsi in apparati della pubblica amministrazione, quindi riempirsi le tasche di denaro potendo contare sul controllo diretto o indiretto delle leve di comando.

E’ questa la fotografia della mafia catanese secondo la relazione sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione investigativa antimafia nel primo semestre del 2018, presentata in Parlamento dal ministro dell’Interno Matteo Salvini.

«Per quanto attiene all’architettura delle consorterie, permane stabile il livello di vertice, identificabile in Cosa nostra catanese, strutturata su tre famiglie principali:

Santapaola-Ercolano, che può contare su una capillare presenza sul capoluogo e su altri territori delle province limitrofe dove ha stretto rapporti con sodalizi locali. I referenti della famiglia, benché detenuti, hanno mantenuto inalterata l’autorevolezza criminale. La consorteria, nel semestre in esame, ha visto definitivamente confiscati i patrimoni di alcuni affiliati e sequestrati i beni di altri soggetti ritenuti ad essa vicini;

Mazzei, la cui compagine, seppure pesantemente colpita, risulta ancora operativa e predominante nel contesto isolano: al riguardo si rilevano propaggini anche in territorio ragusano, in particolare nel comune di Scicli, rappresentate dal gruppo dei Mormina. Tale famiglia dimostra particolare propensione a tentare di infiltrare le Amministrazioni locali: in particolare, nelle recenti consultazioni elettorali regionali, la compagine ha sostenuto il fratello di un soggetto pluripregiudicato organico alla consorteria (il riferimento è all’operazione “Agon”, che portò la Procura a citare in giudizio, fra gli altri, Riccardo Pellegrino, nonché gli ex sindaci di Aci Catena e Mascali, Ascenzio Maesano e Biagio Susinni per presunti contatti cobn i Laudani o i Cappello, ndc);

La Rocca, di Caltagirone, il cui capo storico, sebbene condannato all’ergastolo, gode ancora di influenza e rispetto in seno alle famiglie mafiose isolane, tanto da essere stato pubblicamente omaggiato nell’ambito di una processione religiosa qualche anno addietro. Tale sodalizio, che eserciterebbe notevole influenza nel quadro globale degli assetti di Cosa nostra, risulta attivo anche in provincia di Enna».

«Altri sodalizi non strettamente compresi nell’ambito delle famiglie di Cosa nostra – si legge ancora – ma dotati di simili organizzazione e modalità operative, sono quelli del clan Cappello-Bonaccorsi, il cui capo, Salvatore Cappello, sebbene detenuto, ricopre ancora una posizione di prestigio negli ambienti criminali; è, inoltre, opportuno evidenziare che un importante esponente del sodalizio – Concetto Bonaccorsi, arrestato dalla polizia in provincia di Pistoia nel 2017 – è oggi un collaboratore di giustizia. Il clan, che risulta capillarmente diffuso nei quartieri del capoluogo etneo, con ramificazioni anche nelle province di Siracusa e di Ragusa, nonché in alcuni comuni dell’Ennese, è stato colpito recentemente da diverse misure di prevenzione patrimoniali, che ne hanno minato il potere economico».

Nella relazione si parla anche del «clan dei Cursoti, presente nei quartieri catanesi di Librino, Nesima e San Leone: è attivo nel traffico di stupefacenti, finanziato con i proventi di estorsioni e rapine. Il sodalizio risulta diviso nella frangia “catanese”, il cui referente, detenuto, sarebbe transitato nella famiglia Mazzei, e la frangia “milanese”, ove la consorteria si è insediata negli anni ’70-’80’, per essere poi smantellata in seguito a dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Attualmente, quest’ultimo gruppo, ritornato nel luoghi d’origine, risulta collegato al clan Cappello.

Il clan dei Laudani, alleato dei Santapaola, di recente pesantemente colpito da operazioni di polizia (su tutte “I Vicerè”, dei carabinieri), manifesta una forte capacità di ricostituzione e di estendere propaggini anche in territorio lombardo. Rilevante è, con riferimento a tale consorteria, la cattura di un pregiudicato (l’adranita Nicola Amoroso, indicato come appartenente agli Scalisi), sfuggito all’esecuzione di misura cautelare nell’ambito di una precedente operazione. Anche i Laudani sono risultati fortemente attivi nell’infiltrazione dei meccanismi elettorali comunali».

La relazione sottolinea come altre consorterie catanesi si presentino oggi «fortemente ridimensionate da attività investigative, come ad esempio i Pillera, o assorbite da compagini meglio organizzate, come nel caso degli Sciuto, transitati nel clan Cappello, ed i Piacenti, che operano nel quartiere cittadino di Picanello e che devono comunque rapportarsi con l’egemonia della famiglia Santapaola».

Ancora una volta si fa presente che «il traffico degli stupefacenti rappresenta sempre uno dei settori più redditizi delle economie illegali, che sono quindi protese a promuovere e realizzare, a vario livello, collaborazioni tra organizzazioni criminali catanesi, ‘ndrine calabresi, clan campani, pugliesi e stranieri, soprattutto per l’approvvigionamento dalle aree di produzione e transito. A fattor comune, nel corso delle attività investigative più significative condotte nel semestre, è emerso come alcune organizzazioni, dopo anni di contrapposizione, avessero raggiunto intese proprio per la suddivisione dei lauti proventi derivati dalle varie attività illecite. Se da un lato alcune operazioni hanno disvelato frizioni tra i gruppi criminali per la gestione delle piazze di spaccio, dall’altro sono emersi accordi per la vendita al dettaglio di stupefacenti su piazze contigue, rifornite l’una dalla famiglia Santapaola-Ercolano, l’altra dal clan Cappello».

«Le estorsioni, spesso collegate all’usura – viene ribadito – permettono alle consorterie mafiose di ribadire la propria presenza sul territorio. Tali condotte, oltre ad essere particolarmente redditizie, consentono ai sodalizi di affermare la propria caratura criminale e di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale. In qualche caso le pressioni estorsive, strettamente connesse con il fenomeno usurario, si sono manifestate con particolare aggressività, fino ad arrivare alla minaccia di sequestro di un congiunto della vittima, qualora non fossero state soddisfatte tali pretese».

«Altro settore di forte interesse dei sodalizi è il controllo dei mercati ortofrutticoli e la rete di produzione e distribuzione delle carni, tanto che, come hanno appurato dalle indagini, gruppi storicamente contrapposti sono risultati ora alleati per la spartizione dei proventi estorsivi. È necessario, inoltre, aggiungere che l’illecita pressione sugli esercenti e sulle imprese si esercita anche sotto forma di imposizione di manodopera o di materiali di qualità scadente, peraltro forniti alle imprese appaltanti a condizioni svantaggiose rispetto a quelle praticate sul libero mercato». I riferimenti sono tutti per l’operazione “Chaos 2”, fatta scattare dai carabinieri del Ros, con gli arresti, fra gli altri, Antonio Tomaselli, reggente del clan Santapaola, nonché al sequestro della Conti Calcestruzzi di Misterbianco.

Tornando ai pubblici funzionari, sono visti «sia a livello politico che tecnico-gestionale, come un importante anello da “agganciare” per l’accaparramento di finanziamenti pubblici, commesse, appalti e tutti gli altri vantaggi connessi con l’erogazione di altre utilità di vario tipo. In alcuni casi, tuttavia, sono stati gli stessi amministratori e politici a ricercare il contatto con gli ambienti mafiosi, per concordare il conferimento di appalti, anche previa indicazione di utili informazioni, la stipula di aggiudicazioni o l’assegnazione di incarichi al fine di riceverne un vantaggio, per lo più economico o in termini di altri benefici per sé e per i propri parenti. L’atteggiamento di “disponibilità” di alcuni pubblici funzionari e dirigenti, inclini a favorire e ad essere coinvolti in episodi di corruzione, è emerso, ad esempio, nella aggiudicazione del servizio di gestione (raccolta, spazzamento, trasporto e smaltimento) dei rifiuti. Grazie all’indagine “Garbage affair”, conclusa dalla Dia nel mese di marzo, è stato accertato come imprenditori del settore e dirigenti del Comune di Catanua – in particolare Orazio Stefano Fazio, ex responsabile dei procedimenti della direzione Ecologia e Ambiente, nonché Massimo Rosso, già direttore della direzione Ragioneria generale provveditorato ed economato del Comune – avessero messo in atto sia una turbativa d’asta, che episodi di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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