Le notizie, con un margine di arrotondamento per difetto, sono due.
Quella già nota – anche perché diffusa nelle cronache locali, ma col crisma di una rassicurante normalità natalizia – è che Maria Grazia Brandara guiderà il Consorzio agrigentino per la legalità. Da sindaca di Naro, infatti, è stata eletta dai colleghi di Licata, Favara, Siculiana e Palma a presidente dell’ente partecipato dai cinque Comuni. Nello statuto si precisa l’oggetto, ovvero «l’amministrazione comune, per finalità sociali, mediante la concessione a titolo gratuito» dei «beni confiscati con provvedimento dell’autorità giudiziaria». Con un ricco menu di attività antimafiose, da svilupparsi attraverso gli immancabili «protocolli d’intesa» e «carte degli impegni», di «iniziative volte alla diffusione della cultura della legalità, attraverso corsi di formazione, convegni o altre forme nel territorio» e la «diffusione di informazioni provenienti dal fronte antimafia».
Nulla di illegale, per intenderci, nell’ennesima sagra della legalità. La sindaca riveste il ruolo (a titolo gratuito) con pieno diritto. Ma, entrando sul terreno dell’opportunità, si potrebbe storcere il naso visto che Brandara è fra gli indagati in una tranche delle inchieste dei pm di Caltanissetta sul sistema Montante, quella per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e al finanziamento illecito dei partiti. Ed è in ottima compagnia. Oltre ad Antonello Montante (già condannato a 14 anni nel primo round processuale), con lei ci sono l’ex governatore Rosario Crocetta, le ex assessore Linda Vancheri e Mariella Lo Bello, il presidente autosospeso di Sicindustria, Giuseppe Catanzaro, più altri imprenditori ed ex dirigenti confindustriali.
Secondo l’impianto accusatorio finora emerso, Brandara e Lo Bello furono nominate dall’ex governatore su esplicita richiesta di Montante, che in auto con le due donne si vantava che «a Crocetta non gli abbiamo mai fatto sbagliare una mossa» nella celebre intercettazione ambientale in cui proclamava che «con le attività produttive si può fare la terza guerra mondiale». E le due Antonello’s girls, secondo i pm nisseni avrebbero “costretto” il dirigente Alessandro Ferrara a redigere atti contro Alfonso Cicero e Marco Venturi e a presentare denunce contro entrambi. L’indagine, a quanto è dato sapere, è quasi allo show down. Ma Brandara, qualsiasi cosa dovesse accadere prossimamente, è comunque innocente fino al terzo grado di giudizio. Ma già dalle carte dei processi in corso emerge come “ancella” dell’ex leader di Confindustria Sicilia. Come nella misteriosa intercettazione del 25 ottobre 2015. «E scusa… i soldi… ti dissi l’avi na borsa…», dice lei a Montante subito dopo che Lo Bello è scesa dall’Alfa Romeo in cui viaggiavano, chiacchierando di nomine e incarichi. «Cosa?», chiede lui. E lei, con estrema chiarezza, conferma: «I soldi!». Il fu paladino antimafia, a questo punto si irrigidisce: «No! Dopo dopo! … No! Davanti a chiddru no! Dopo dopo… dopo, dopo… va bene». La presenza di un “quarto incomodo” costringe a rimandare l’operazione: «Mari! Dopo… Mari! Dopo!».
Dopo aver saputo di essere indagata, Brandara si dimette da commissario straordinario di Licata. E ridiscende in campo, in politica. Ex consigliera provinciale, ex deputata regionale, nell’aprile scorso torna a fare il sindaco di Naro dopo dieci anni, battendo il rivale, Vincenzo Giglio, per 31 voti. «Naro torni a essere fulgentissima» il suo slogan, 3.750 le cartoline bianche inviate agli elettori con il suo numero di cellulare in blu. E loro – evviva la democrazia – l’hanno premiata.
In tutto questo percorso c’è una sola costante: Brandara non ha mai lasciato il posto di presidente di Ias (Industria Siracusana Acqua Spa), il consorzio fra Irsap e le aziende del Petrolchimico per la gestione, fra l’altro, di uno dei più grossi depuratori d’Europa.
E qui arriviamo alla seconda notizia. Inedita, stavolta. Brandara, come ex commissario dell’Irsap, è stata rinviata a giudizio dal gip di Barcellona Pozzo di Gotto, Salvatore Pugliese, per inquinamento ambientale in concorso con Alberto Dondi, gestore del depuratore di Giammoro, a Pace del Mela. Secondo il pm Matteo De Micheli i due imputati non avrebbero gestito l’impianto secondo le regole. Secondo la tesi attestata dal gip sarebbe stato demolito uno dei due bacini combinati, «così dimezzando la capacità depurativa» e utilizzato «un bypass (troppo pieno) ordinariamente e non solo in casi eccezionali, così immettendo direttamente e costantemente nello specchio acqueo marino un notevole quantitativo di reflui non depurati». E tutto ciò «cagionando abusivamente una compromissione ed un deterioramento significativo e misurabile» del mare, in cui venivano riversati reflui «contaminati». Soprattutto per questi motivi – e Brandara anche per l’omessa vigilanza sulla gestione del depuratore e la mancata attivazione dei poteri per «scongiurare il conseguente pericolo di danno ambientale» – il 24 febbraio parte il processo davanti al giudice monocratico di Barcellona.
In questo caso, forse, c’è più di una ragione di opportunità affinché Brandara faccia un passo indietro. Passi per il sistema Montante, che, al di là del coinvolgimento personale, proprio in Ias ha uno degli esempi di «occupazione fisica dei luoghi di governo» con la designazione di Maria Rosaria Battiato, moglie del colonnello dell’Aisi, Giuseppe D’Agata (uno degli “spioni” a processo), alla presidenza dell’ente siracusano. Passi per l’inchiesta, sempre per inquinamento ambientale, della procura di Siracusa che portò, lo scorso febbraio, al sequestro di alcuni impianti del Petrolchimico, fra cui il depuratore Ias (tasso d’incidenza tumorale al 12% fra i dipendenti, secondo i sindacati), con Brandara fra i 19 indagati. Ma adesso per la presidente di Ias c’è un processo, nel Messinese, per un reato grave. Che rappresenta il contrappasso giudiziario del delicato ruolo di gestore di un impianto controverso, ma decisivo per l’equilibrio sviluppo-ambiente del Petrolchimico.
Ma perché la Regione, socio di maggioranza di Ias attraverso l’Irsap non fa niente? «Perché non possiamo fare niente», fanno spallucce dall’assessorato alle Attività produttive. A Palermo parlano di «un blitz, poco prima delle Regionali 2017, con cui, con il consenso del governo Crocetta, di Confindustria Siracusa e dei colossi del Petrolchimico, fu cambiato lo statuto di Ias per blindare la conferma della Brandara al vertice». La nomina a presidente (51.600 euro lordi l’anno l’indennità) arriva infatti il 26 ottobre 2017, una settimana prima del voto che avrebbe portato Nello Musumeci a Palazzo d’Orléans. E la durata in carica, si legge nel sito del consorzio, è «fino approvazione Bilancio al 31.12.2019». Ciò significa che il sindaco di Naro può restare fino almeno a metà 2020. E ciò nonostante «il dipartimento abbia espletato l’unica attività possibile e cioè quella ispettiva».
Anche su sollecitazione di Musumeci, l’assessore Mimmo Turano ha provato a vederci chiaro. Resistendo, tra l’altro, alle pressioni delle industrie che volevano che fosse la Regione ad accollarsi le spese per adeguare il depuratore sequestrato. Non è dato sapere cosa abbia fruttato l’ispezione, così come non si sa nulla dell’altra “missione” affidata a Dario Montana (dirigente regionale fratello di Beppe, commissario ucciso dalla mafia nel 1985) per «acquisire ogni elemento probatorio» sul presunto passaggio-fantasma di azioni fra gli ex Consorzi Asi in liquidazione e l’Irsap, ma anche sulle nomine nelle partecipate Sac e Ias, in odore di irregolarità.
Tutto tace, a Palermo. Ma restano i sussurri sulla capacità di resistenza in stile highlander di Brandara, ex manninana poi fedelissima cuffariana, in sella ancora oggi come ieri, nell’epoca del cerchio magico di Crocetta.
Ed è a questo punto che qualcuno cita le carte di un’altra inchiesta. Dalla quale il presidente pro tempore di Ias non è neanche sfiorata. Siamo stavolta ad Agrigento, nel marzo 2018, nell’ordinanza di arresto ai domiciliari di Michele Sinatra, suocero del potentissimo deputato regionale forzista Riccardo Gallo Afflitto, per una vicenda di abusivismo nella Valle dei Templi. Il gip Francesco Provenzano cita le manovre dell’imprenditore per una pratica di finanziamento bloccata nel 2017 da un funzionario della Crias, Gianluca Guida, attraverso «la sua capillare rete di amicizie».
Il principale destinatario del pressing è proprio l’ex dirigente Ferrara, assolto nel processo Montante. Ma in quelle carte ricorre più volte il nome di Brandara, spesso assieme all’inseparabile ex assessora Lo Bello. E spunta anche una telefonata fra Sinatra e Gaetano Armao, allora consulente dell’imprenditore, ma per il gip «un tutor del Sinatra». Gallo rassicura il suocero, sostenendo di aver «interessato della vicenda anche l’avvocato palermitano» oggi vicepresidente della Regione. E Armao, in un’intercettazione, racconta al cliente di aver cercato Brandara (all’epoca segretaria particolare di Lo Bello alle Attività produttive), ma senza successo. «Domani torniamo all’assalto, va bene?». Lei risponderà, secondo il racconto dell’avvocato, a un sms: «Le ho mandato un messaggio… e ora atterrando mi è arrivato un messaggio… mi ha detto: “scusa non ho potuto provvedere sono stata tutto il giorno in Presidenza ti chiamo domani”…». Poco dopo, nonostante l’assessore Lo Bello definisca il riottoso funzionario della Crias «uno che non ascolta nessuno», dalle Attività produttive arriva la sospensione della revoca del finanziamento. E nel novembre 2017, poco dopo le elezioni, Ferrara ricontatta Guida per avere notizie sulla pratica dell’azienda Tas di Sinatra. «Saprai bene… tra poco si insedia un assessore… attaccato a sta vicenda… lo sai no?». Brandara, pochi giorni prima, è riconfermata al vertice di Ias. Da dove non si muove. Nonostante tutto, nonostante tutti.
Twitter: @MarioBarresi