IL REPORTAGE
La fiaba del golf diventata un horror a 5 stelle: «Ecco lo scempio del Donnafugata» (che non riapre più)
Crac misteriosi, fondi globali e 200 lavoratori a casa. Ma sul campo, oltre alle vecchie buche, restano abusi edilizi e ambientali. Che nessuno ha visto?
In un posto incantato come questo, all’inizio non poteva che essere una fiaba. La meravigliosa epopea del turismo d’élite, nel cuore dell’Iblashire, con i verdeggianti campi da golf ad attirare appassionati e ricconi da tutto il mondo, dando lavoro e prospettive di vita a 200 persone. È la favola del Donnafugata Resort, il cinque stelle che ha incarnato la narrazione della Sicilia che piace alla gente che piace, del golf come volàno turistico, dello sviluppo economico e occupazione compatibile con la tutela dell’ambiente.
E di tante altre baggianate.
Perché oggi della bella favoletta, dopo la brusca trasformazione in un’intricata serie (popolata da nani, ballerine e faccendieri che sguazzano in un mare di soldi, molti dei quali pubblici, con fantomatici fondi stranieri sullo sfondo), non resta che un film dell’orrore. Il cui protagonista, che poi è anche la vittima di questa storia, è un pacioso sessantunenne palermitano di sangue blu.
Qui – nell’immenso scivolare verso il mare della riserva di Randello, fra balle di fieno e tesori archeologici che fanno capolino dal decadente degrado – dicono che «il nobilotto è uscito pazzo». Ma Orazio Arezzo, pronipote del marchese suo omonimo che nel 1800 finanziò gli scavi del mitico Paolo Orsi, scopritore del sito di Kamarina, è soltanto un cittadino che ha deciso di far valere le sue ragioni. Sbattendo troppo spesso contro muri di gomma, se proprio non li vogliamo chiamare allegre distrazioni (o peggio ancora connivenze) di tanti palazzi. Che nascondono complicità inconfessabili, riuscendo persino a far sparire voluminosi faldoni con scartoffie su cui più d’un protagonista occulto ha lasciato qualche impronta digitale.
«Io voglio andare fino in fondo, non mi fermerò finché non avrò giustizia», scandisce all’ingresso del suo feudo. Sì, perché lui, assieme alla sorella Maria Felice, è il proprietario di questo infernale paradiso. Circa 250 ettari di terreno incontaminato, un borgo agricolo con una torre cinquecentesca e un giardino storico d’inestimabile valore. Gli Arezzo affittano e in parte (circa 5 ettari) vendono alla “Donnafugata Resort Srl”. Siamo nel 2003 e in contrada Piombo si sogna a occhi aperti. In campo c’è la Nh Hotels, famosa catena alberghiera spagnola, che incassa 19,4 milioni di fondi pubblici di Invitalia per investire nell’albergo a cinque stelle: 170 camere e 40 suite, centro benessere, due piscine, sei campi da tennis, un impianto ippico, un centro convegni e banchetti per mille posti.
Ma il valore aggiunto è il golf: due campi a 18 buche, un executive a 9 buche e uno di pratica. Con due firme prestigiose come Gary Player e Franco Piras, progettisti di fama mondiale, a dare quel tocco di archi-glamour che piace tanto ai vipponi globalizzati.
Sullo sfondo, insieme con gli spagnoli di Nh, molti pezzi grossi dell’imprenditoria e della finanza, oltre che aziende vicine a politici. C’è la Proger, ma anche una cordata d'imprenditori fra cui spicca il nome dell’editore Paolo Panerai, che poi aprirà un contenzioso per liberarsi della sua quota.
Il sogno diventa realtà. Il resort apre ed è una grande bellezza. Che dà il pane a circa 200 famiglie iblee, fra occupati diretti e indotto. Ma il bel gioco (del golf e non solo) dura poco. Gli spagnoli di Nh dopo un po’ fuggono, vendendo la struttura, al prezzo di un euro, ma con 23 milioni di debiti con le banche, a una società inglese, la “Armonia Limited Srl”.
La “Donnafugata Resort Srl” fallisce nel 2018. Un crac alquanto misterioso, se si considera che – come rivelato dagli stessi dipendenti – la struttura «non ha mai sofferto di crisi» e per l’anno successivo erano «già registrate prenotazioni per un controvalore di un milione e 600mila euro». E non è un caso che, come raccontano le cronache locali dell’epoca, la subentrata curatela fallimentare che entra in possesso dei conti correnti si ritrova una liquidità di circa 1,5 milioni.
Il seguito giudiziario della vicenda è un continuo gioco al rimpiattino. Fra aste andate deserte e tentativi di speculazione al ribasso. Fra le illusioni per il territorio, con sindaci che si battono il petto bardato dalla fascia tricolore, sindacati che pressano per la tutela dei lavoratori e gruppi imprenditoriali che appaiono e scompaiono. Il tutto in un contesto opaco. Che parte da un presupposto sano (il Donnafugata non può chiudere, è un patrimonio da tutelare, ci sono i lavoratori…), ma arriva a veri e propri ricatti.
Dopo il fallimento molti gruppi puntano gli occhi sul gioiellino ibleo. Negli elitari salotti della finanza, ma anche nei luminosi uffici della “Coldwell Banker Commercial”, l’advisor che ha l’esclusiva per la vendita, circolano nomi grossi. Alcuni li fa, senza essere smentito, l’informatissimo sito RagusaNews. S’affievolisce quasi subito la curiosità di un’altra catena spagnola, “Room Mate”, così come quella di “Sheraton golf & resort” del gruppo Mariott e della “Jsh” di Rimini. In campo resta la “Algebris Investments”, società di gestione del risparmio globale guidata dal raider Davide Serra, all’epoca uomo vicino a Matteo Renzi, protagonista della riqualificazione del Grand Hotel et Des Palmes di Palermo. E c’è pure il fondo italiano della “Aedos”, società che aveva già tentato un ripianamento del debito accumulato con le banche dagli ormai vecchi proprietari del Donnafugata. E infine il gruppo bancario di Hong Kong, “Sc Lowy”, che nel 2018 ha appena acquisito il Credito Romagnolo, avviando un analogo salvataggio di un golf resort del gruppo Acaya in Salento.
Alla fine vincono i fondi speculativi “Aedos” e “Sc Lowy”. Comprano, nell’aprile del 2020, a poco meno di 20 milioni. Un affarone se non fosse che, diversamente dalle precedenti aste, in gara stavolta c’è il golf resort senza campi da golf. Sì, perché questa è la parte dei 240 ettari degli Arezzo.
Il marchese torna, suo malgrado, protagonista. Perché, ci racconta con un sorriso amaro, diventa «oggetto di un pressing fortissimo per vendere, anzi per svendere, la mia proprietà». Arezzo, in un copione riscritto da chissà quali menti raffinate, recita il ruolo del cattivo. L’aristocratico capriccioso, legato alla “roba” di verghiana memoria.
Ma non è così. Perché la resistenza del proprietario racchiude la parte più incredibile della vicenda. «In teoria qui è tutto con le carte in regola. Ma è tutto falso. E falsificato in modo maldestro», ci racconta. E affonda: «Nella mia proprietà è stato compiuto uno scempio. È tutto inutilizzabile e invendibile, perché realizzato in maniera illegittima rispetto alle autorizzazioni ricevute dalla Regione». Un’accusa messa nero su bianco in più denunce e in un ultimo dettagliato esposto indirizzato agli assessorati al Territorio e ambiente e ai Beni culturali, oltre che al Comune e alla Sovrintendenza di Ragusa.
Arezzo è circondato dalle carte bollate. Le "pezze d'appoggio" del suo racconto ce le porta dentro un enorme trolley, di quelli che in aereo devi imbarcare. Ha vinto un lodo arbitrale a Roma sugli obblighi contrattuali non rispettati dalla società e a sua volta è stato oggetto di causa da parte della curatela sui mancati interventi migliorativi. Il marchese, durante il tour in campagna, ci sommerge di carte. Proviamo a riassumerle. Durante i lavori di costruzione del resort, secondo l'esposto, si registrano alcuni macroscopici abusi edilizi e ambientali. Vengono realizzati «manufatti illegittimi e/o abusivi» perché in aree pluri-vincolate: nel Parco archeologico regionale di Kamarina, nel Sic (Sito d'interesse comunitario) Cava di Randello Passo Marinaro e nella Riserva naturale integrale Cava Randello.
L’elenco è lungo: corpi camere del resort sorti «in difformità da quanto progettato e autorizzato», fra sedime della strada comunale e area archeologica; demolizione di fabbricati storici «per nascondere le violazioni»; «pressoché totale devastazione» del giardino storico del Borgo del Piombo; distruzione di «centinaia di alberi scolari di ulivo e carrubo»; abbattimento dei tradizionali muri a secco; costruzione di un impianto di depurazione che scarica i reflui nel Sic Cava di Randello, con una «condotta di scarico abusiva», lunga circa due chilometri, che sversa i residui (diserbanti e concimi) dei campi da golf nell’area protetta e nella riserva naturale; una discarica abusiva di rifiuti speciali, «malamente interrata» all’interno dell’area archeologica», con «sfabbricidi con la presenza a vista di amianto», per nascondere i quali i mezzi meccanici utilizzati hanno di fatto «interrato il sepolcreto monumentale» rinvenuto negli scavi della Sovrintendenza.
Arezzo nel 2009 denunciò lo “smottamento” che distrusse il giardino storico. Ma i lavori andarono avanti lo stesso: alla fine l'albergo, malgrado fosse accatastato otto metri più in basso, ottenne l’agibilità. Fra le strane coincidenze di questa vicenda – al netto del dubbio sulla circostanza che tutti gli abusi ora denunciati siano stati compiuti all'insaputa del proprietario – alcune riguardano esponenti politici locali. Come ricostruito da Repubblica Palermo all'epoca dei primi veleni, il direttore dei lavori al Donnafugata Resort è Angelo La Cognata, la cui società, la "Gulfi srl", è aggiudicataria di diversi lavori appaltati dalla Soprintendenza. La società "Gold Service", di cui l'ex assessore comunale al Turismo Giovanni Occhipinti era amministratore unico, fu incaricata degli scavi e dei movimenti terra. La Procura di Ragusa aprì un’inchiesta sulla gestione del territorio da parte del Comune, ma senza riscontri. E adesso, nonostante le difficoltà dei lunghi mesi di pandemia, finalmente il marchese è venuto in possesso della “prova regina”: il faldone con gli atti della Via (Valutazione d’impatto ambientale), «scomparso negli uffici di Comune e Sovrintendenza e ritrovato all’assessorato regionale a Palermo».
Bingo. Dalla montagna di scartoffie si evince tutto ciò che doveva essere fatto e non è stato fatto. Dalla “Donnafugata Resort Srl” che costruì in modo piuttosto allegro. Ma anche da parte di chi doveva controllare e s'è guardato bene. «La società fallita così come la curatela, ma anche il Comune di Ragusa, non hanno mai rispettato l’obbligo di relazionare ogni sei mesi l’assessorato su quanto si realizzava. E la curatela fallimentare – aggiunge Arezzo – non ha comunicato al Territorio e Ambiente la vendita di terreni e immobili con la quale si modificava profondamente quanto autorizzato dal decreto di Via». Fra i documenti sbuca pure il meritorio “alert” sul caso Donnafugata da parte di Calogero Rizzuto, il direttore del Parco archeologico di Siracusa vittima di Covid in una vicenda allucinante, all’epoca attento dirigente della Sovrintendenza iblea, poi allontanato da una così scottante pratica.
Ma questa storia, allora, come finisce? Il Donnafugata Resort è fermo. Chiuso. I siti di booking online, come un miraggio in un deserto di fatalità, vendono ancora i soggiorni, ma appena si indica il periodo la risposta è che «non ci sono camere disponibili nel periodo selezionato». La leggenda del golf a cinque stelle s’è polverizzata. E Arezzo, il «marchese pazzo», resta come Mastro Don Gesualdo a presidiare la sua proprietà che s’impoverisce giorno dopo giorno. «Io i soldi per smantellare tutto non li ho. Servirebbero dieci di milioni. Non posso né vendere né affittare, non essendoci regolarità edilizia. Ma non può finire così, voglio che sia sistemato tutto!».
E così il fu Donnafugata Resort resta lì, «come un’enorme bellissima balena arenata nel cuore degli Iblei». Tutt’attorno una serie di «finti pifferai magici che fanno promesse turismo, sviluppo e lavoro», mentre qui tutto va a spegnersi come nello straordinario tramonto fra mare e colline a cui assistiamo congedandoci dal marchese Arezzo. «Qualcuno deve dare una scossa, bisogna accendere la luce su uno scempio abominevole».
Ma ormai s’è già fatto buio.
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