Non risparmia attacchi ai magistrati Antonino Di Matteo, oggi consigliere al Csm, e ad Annamaria Palma, oggi Avvocato generale di Palermo, che si occuparono per un periodo dell'indagine sulla strage di via D'Amelio. E neppure agli imputati, tre poliziotti, che "non hanno reso onore alla divisa". Parla anche di "ignominia del depistaggio" sulla strage. E di "diritto alla verità, dopo 30 anni. Anche se ormai il danno è fatto ed è irreparabile".
In poco meno di un'ora l'avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, nonché marito di Lucia, la figlia maggiore del giudice ucciso il 19 luglio del 1992, lancia accuse precise nel corso delle repliche della penultima udienza del processo sul depistaggio sulla strage che vede alla sbarra tre poliziotti accusati di concorso in calunnia aggravata dall'avere favorito Cosa nostra. Secondo l'accusa, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, che facevano parte del Gruppo Falcone e Borsellino, avrebbero indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino, a dire il falso e ad accusare degli innocenti, che poi furono condannati all'ergastolo. Oggi quegli innocenti sono parte civile nel processo di Caltanissetta che è alle battute finali. Per Bo la Procura ha chiesto 11 anni e 10 mesi, per Ribaudo e Mattei 9 anni e mezzo ciascuno.
Quella di oggi è stata la penultima udienza del processo. La prossima udienza è stata fissata per il 12 luglio per le controrepliche dei difensori e poi i giudici si ritireranno in Camera di consiglio per emettere la sentenza. Potrebbe essere emessa già in serata oppure all'indomani.
«Se pensate che la vittima di questo depistaggio è Paolo Borsellino, insieme con i suoi angeli custodi, un uomo che ha fedelmente servito le istituzioni. Io non riesco a vedere una confine, una misura all'ignominia di tutta quest vicenda», dice Trizzino. Poi sferra un attacco all'ex pm Antonino Di Matteo che «nel 2009 fece una dichiarazione sul collaboratore Gaspare Spatuzza senza averne alcuna competenza». E spiega: «L'elemento incredibile è che in quell'anno Di Matteo da pm di Palermo non aveva alcuna competenza per entrare nei processi Borsellino uno e Borsellino bis, a meno che temesse qualcosa che potesse compromettere la sua carriera professionale…. Bisogna avere il coraggio di dirle queste cose».
«Si doveva occupare di dare il proprio parere su Spatuzza? – dice Trizzino- Cosa gli interessava del Borsellino uno e bis? Non è uno schizzo di fango al magistrato ma una analisi critica e non possiamo fare finta di niente. Solo perché uno fa il magistrato o il poliziotto non deve parlare? No. Non ci sto».
Dell'agenda rossa non si doveva parlare fin dall'inizio
Poi, l'avvocato della famiglia Borsellino punta la lente di ingrandimento sull'agenda rossa, scomparsa dalla borsa del giudice Borsellino. Secondo una sentenza non sarebbe stato un capitano dei Carabinieri ad allontanarsi con quella borsa contenente l'agenda. La borsa del magistrato fu poi ritrovata ma senza l'agenda. «Abbiamo una teste oculare, Lucia Borsellino, che ha detto quando il 19 luglio il padre lasciò la villa al mare a Villagrazia di Carini, la sua scrivania era pulita. E l'agenda non c'era. A ciò si aggiunga che è stato accertato che il giudice Borsellino aveva tre agende: una marrone, una grigia e una rossa, bene, le prime due sono state ritrovate mentre l'agenda rossa non si è mai trovata. Non si può superare il dato della testimonianza diretta di Lucia Borsellino. Una testimonianza molto qualificata, di quello che accadde la mattina del 19 luglio, compresa la telefonata del dottor Giammanco e la reazione del padre», aggiunge.
Poi critica le difese. «Hanno detto nel corso della discussione che qui si processano i morti che non possono difendersi». Come Arnaldo La Barbera, l'ex capo della Mobile, che guidava il gruppo investigativo con i tre poliziotti oggi imputati. Nel frattempo La Barbera è morto. «Ah come avrei voluto chiedere al dottor Arnaldo La Barbera il motivo di quel comportamento nei confronti di Lucia Borsellino. Un atteggiamento irriguardoso nei confronti della figlia del giudice sull'agenda rossa, perché questa chiusura? Di questa agenda rossa da subito non si doveva parlare». Le «indagini sulla scomparsa dell'agenda si fanno solo nel 2006 e tutti fanno finta di niente -dice ancora Trizzino- Il pm Di Matteo dice "Ce ne siamo occupati quando si è riaperto il procedimento su Bruno Contrada" ma non è vero, Di Matteo ricorda male. La prima indagine la fa il pm Liguori e non ci vengano a raccontare altro», aggiunge il legale della Famiglia Borsellino.
Storicamente è tutto abbastanza chiaro, ora tocca ai giudici
«Sapete perché mi accaloro tanto? Perché non voglio arrivare al processo Borsellino 28, perché Paolo Borsellino e tutti gli agenti della scorta hanno diritto di riposare in pace. E non mi interessa più a questo punto, perché questo lo dovete valutare come ragione di danno del depistaggio messo in atto dal Gruppo Falcone e Borsellino. Hanno bisogno di riposare», dice poi Trizzino. «Storicamente ricostruiremo quello che è accaduto e la vostra sentenza sarà, spero, auspicabilmente, un momento di partenza. Non mi interessa un Borsellino 28, perché non ce la facciamo più, non ce la fanno più le parti civili: ma storicamente ormai è tutto abbastanza chiaro. Perché il danno fatto con questo depistaggio e con l'insipienza e l'incapacità professionale di quei magistrati non lo può elidere nessuno. Ma ora lasciamoli riposare in pace». dice poi rivolgendosi al Tribunale. L'avvocato trizzino ricorda poi la sentenza del processo Borsellino Ter.
«La corte d'assise del processo Borsellino Ter, quando parla del collaboratore Vincenzo Scarantino è tranciante e dice che "è da prendere e buttare". Ora io mi chiedo: i pm a cui queste parole vengono rivolte sono i pm Annamaria Palma e Antonino Di Matteo, gli stessi pm del Borsellino bis. Anche qui c'è un cattivo ricordo da parte dei magistrati. Quando ci dicono "non credevamo a Scarantino" si dimenticano di dire che hanno chiesto la condanna nei confronti di Vernengo, di La Mattina e di Scotto oltre che di Natale Gambino (condannati ingiustamente ndr) facendo quindi propria la collaborazione dei tre falsi collaboratori». «Quando ho detto che hanno difeso pervicacemente il depistaggio mi sono limitato a dati di fatto assolutamente incontestabili», dice ancora. E parla di «debole e claudicante costrutto accusatorio» dei pm Palma e Di Matteo. «Se la Corte di assise, specie dopo le testimonianze di Bo e Mattei avesse avuto a disposizione il brogliaccio sottratto ai giudici naturali, altro che trasmissione di verbali. A quel punto la corte di assise avrebbe indicato nominativamente i soggetti da mettere sotto indagine e da processare», conclude.
«Ormai il danno fatto dalla incapacità professionale di quei magistrati non si può elidere. Ma ora lasciamo riposare Paolo Borsellino e gli agenti di scorta in pace. Dopo 30 anni quale verità andiamo ancora cercando, quando il redde rationem? Io non ho paura di niente e di nessuno, quando la verità in questo Paese è stata data a persone che a mio giudizio sono in conflitto di interessi», prosegue il legale di Lucia, Fiammetta e Manfredi Borsellino.
E alla fine rivolgendosi ai giudici, dice: «Avete la possibilità, a mio giudizio, di scrivere una vicenda processuale. Questa è l'ultima occasione per Restituire dignità, alla polizia in primis. Perché, è lo dico con dolore, gli imputati non sono stati dei buoni poliziotti, hanno dimostrato la Loro Incapacità e pervicacia. Per questo non posso che concordare con la Procura e chiedere la condanna per tutti i capi di imputazione». Prima di Trizzino ha parlato il pm Stefano Luciani. Anche lui è stato critico con le difese: «Non c'è stato alcun atteggiamento schizofrenico da parte del pm e nessun mutamento nella valutazione che questo ufficio di Procura ha sempre fatto sulle dichiarazioni dei falsi collaboratori Scarantino, Andriotta e Candura. Abbiamo sempre detto che quelle fonti da sole non erano utilizzabili e lo sforzo è stato quello di portare all'attenzione del Tribunale elementi di prova che servissero a puntellare elementi di prove», dice.
«Lo sforzo che si è fatto è stato quello di dimostrarvi che le vicende che sono state portate alla vostra attenzione – dice al Tribunale presieduto da Francesco D'Arrigo -sono vicende che questi signori hanno portato sempre uguali nel tempo. Non so se è sufficiente. Ma non c'è nessun mutamento nella valutazione che il pm ha compiuto da sempre sui collaboratori di giustizia». E aggiunge: «In questo processo c'è un materiale complesso da maneggiare. E materiale complessissimo il materiale del Borsellino Quater. Bisogna essere applicati su questo tema per anni". Poi parla dell'archiviazione del procedimento a carico di Mario Bo, uno dei tre imputati del processo, insieme con altri due poliziotti. "Dal 2011 c'è stato un lavoro enorme fino al 2017, basta ricordare che c'è un giudice che ha riaperto le indagini. Altrimenti il gip non avrebbe mai consentito la riapertura delle indagini».
Nelle arringhe difensive i legali avevano criticato il pm Luciani che in passato aveva chiesto l'archiviazione della posizione di Bo, mentre adesso, per le stesse accuse, chiede la condanna a 11 anni e 10 mesi di carcere. «E' una archiviazione tecnica – dice il pm Luciani- si chiude un processo sulla base di alcuni elementi, se una richiesta di archiviazione arriva nel 2015 e le indagini si fanno tra 2009 e 2011 quello che si scopre dopo è inutilizzabile». E il pm legge le conclusioni dell'archiviazione: «Non c'è alcun atteggiamento schizofrenico da parte del pm». «Nel corso delle arringhe della difesa ho sentito parlare più volte di 'schizzi di fango' gettati sui tre imputati e all'inizio non sono riuscito a comprendere chi fosse il soggetto che avrebbe gettato questi schizzi di fango, fino a quando, con molto rammarico, sono arrivato a una parte nella quale nel silenzio è stato detto che è stato il pm a infangare i poliziotti del Gruppo Falcone e Borsellino', in relazione alla vicenda della videocassetta a Studio aperto (con l'intervista a Vincenzo Scarantino ndr). Ho compreso che sostenere una tesi significa infangare qualcuno», aggiunge poi. «Se ho apprezzato l'elogio che è stato fatto del dottor Gianni Tinebra (ex Procuratore di Caltanissetta, moro ndr), su cui non ho nulla da dire, il magistrato che "ha fatto tremare tutta Italia", come dice la difesa, io non posso consentire che attraverso le tesi sostenute delle difese si possa infangare un magistrato come Sergio Lari», cioè l'ex Procuratore capo di Caltanissetta, oggi in quiescenza. «Perché sostenere che il Processo Borsellino quater sarebbe incorso in errori per la mancanza di elementi prodotti dal pm significa che o quegli elementi non li si è acquisiti volutamente o per indagini approssimative, non so cosa sia peggio», conclude il pm Luciani.