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La conversione di Niko Pandetta: «Sono cambiato, sì alla legge contro i neomelodici che inneggiano alla mafia»

Di Lara Sirignano |

«Non sono cattiva, è che mi disegnano così» diceva Jessica, formosissima protagonista del cartoon «Chi ha incastrato Roger Rabbit?». E ad ascoltare Vincenzo Pandetta, ex neomelodico convertito al Trap travolto dalle polemiche per aver dedicato una canzone allo zio, boss catanese al 41 bis, la citazione calza a pennello. Viso e corpo pieni di tatuaggi, sguardo truce, foto con pistole d’oro e mazzette di soldi in mano: «È il personaggio che piace, ma io non sono così. Ho fatto mille sbagli e ho pagato, ma sono cambiato. Con certe stupidaggini ho chiuso: vorrò sempre bene a mio zio perchè mi ha aiutato quando ne avevo bisogno, ma non scrivo più canzoni del genere. Ho cambiato musica, parlo d’amore e penso che Falcone e Borsellino siano state due persone perbene che si sono sacrificate per tutti noi», dice dopo due anni di silenzio stampa.

Catanese del quartiere Cibali, padre tossicodipendente, una famiglia difficile e un passato in carcere per spaccio, Niko accetta di parlare con l’Ansa della proposta di legge della Commissione parlamentare antimafia che prevede l’aggravante dell’istigazione o dell’apologia della mafia. Una norma che potrebbe creare qualche problema ai tanti neomelodici che inneggiano alla criminalità nelle loro canzoni. «Avevo la testa bruciata, avevo la malavita nel cervello – racconta – Ho scritto “Dedicata a te”, il mio primo pezzo, per ringraziare mio zio Turi. Ho sicuramente fatto una cretinata e me ne scuso».

Niko non è stato l’unico neomelodico a finire nella bufera: Tony Colombo, protagonista di uno sfarzoso matrimonio con la vedova di un camorrista , Gianni Celeste con la sua “Nu latitante”, tutti siciliani che, secondo tradizione cantano in napoletano, e sono incappati in critiche feroci.

«Se facessero una legge che punisce chi inneggia alla mafia non mi sentirei leso nella mia creatività – dice Niko – perché in fondo abbiamo una responsabilità verso chi ci segue. Parlo di milioni di follower, spesso giovani per i quali siamo un esempio».

E quando gli si chiede il perché di certe foto con le armi in pugno risponde: «Alla gente piace questo. I miei video fanno 40milioni di visualizzazioni, se metto una foto di me con mia figlia la guardano in pochi. Purtroppo il mondo è questo e va al contrario».

Business dunque. Recenti inchieste hanno accertato che molte feste rionali di Palermo sono organizzate dai clan mafiosi che ingaggiano i cantanti, tutti neomelodici. «Anche per questo non voglio più saperne con quella musica – spiega – Quando andavo a cantare in certi contesti poteva capitare di incontrare persone particolari, per questo non voglio più farlo, proprio per essere libero».

Un album in preparazione, contatti con una grossissima casa discografica, Niko sembra cambiato davvero. Tanto da arrivare a dire che una limitazione dell’espressione artistica sarebbe accettabile.

Di diverso avviso, invece, è il giornalista Gianmauro Costa, autore di un libro, Festa di Piazza, con al centro proprio le commistioni tra certa musica e la criminalità organizzata. «Tutto ciò che è in odore di censura è becero, – commenta – Assistiamo a eccesso di politically correct che diventa conformismo peggiore della matrice culturale che si combatte. Diversa cosa, ovviamente, è la propaganda criminale».

Gery Ferrara, ex pm antimafia che del fenomeno si è occupato nel saggio «La mafia che canta» è sulla stessa lunghezza d’onda. «Si deve stare attenti con i reati connessi alla libertà di espressione artistica – spiega – anche se altro, sono le condotte istigatrici con esaltazioni di gesta di mafiosi. Quello su cui si deve vigilarè è che, ad esempio, una esibizione in una festa di quartiere non diventi mezzo di acquisizione del consenso mafioso o raccolta di soldi per i clan». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA