Si parla tanto di riutilizzo della cenere vulcanica e da due ricercatrici dell’università di Catania arriva ora il progetto di riuso nei sistemi di fitodepurazione per aumentare l’efficacia e la sostenibilità degli stessi. E’ l’ipotesi su cui stanno lavorando Alessia Marzo e Delia Ventura, coordinate dal prof. Giuseppe Cirelli del dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente, insieme con i docenti Germana Barone e Paolo Mazzoleni e con il ricercatore Claudio Finocchiaro del dipartimento di Scienze biologiche, geologiche ed ambientali dell’Università di Catania, nell’ambito del progetto Agrithec, finanziato dall’Unione Europea Next-Generation EU (Pnrr – Missione 4 componente 2, Investimento 1.4).
Uno degli obiettivi di Agritech è infatti l’individuazione di substrati a basso costo, preferibilmente provenienti da processi produttivi e cicli di recupero, dalle elevate prestazioni di trattamento al fine di ridurre l’impronta areale (footprint) dei sistemi di fitodepurazione e di incrementare la loro sostenibilità, anche in termini economici.
Per tale ragione, nei laboratori del Di3A è attualmente in corso di valutazione l’impiego di materiali filtranti innovativi, tra cui i depositi piroclastici dell’Etna, come substrato dei sistemi di fitodepurazione per il trattamento dei reflui urbani, ossia di quegli ecosistemi artificiali (noti anche come “aree umide artificiali” o constructed wetlands), in cui vengono riprodotti i processi di depurazione caratteristici delle zone umide ottenuti prevalentemente dall’azione combinata di suolo, vegetazione e microrganismi.
Essi presentano diversi vantaggi, quali il basso o nullo consumo energetico, la semplicità di funzionamento e manutenzione, bassi costi di gestione e manutenzione, trattamento efficiente delle acque reflue e affidabilità anche in condizioni operative estreme. Le suddette caratteristiche rendono i sistemi di fitodepurazione particolarmente indicati per il trattamento dei reflui urbani di piccole e medie comunità sia nel caso dello scarico in corpi idrici e sul suolo, sia nel caso di riuso agricolo.
Tali sistemi sono inoltre in grado di soddisfare i requisiti stabiliti dalla nuova direttiva UE sul trattamento delle acque reflue urbane del 10 aprile 2024 che impone l’obbligo di applicare un trattamento secondario alle acque reflue urbane in tutti gli agglomerati a partire da mille abitanti equivalenti entro il 2035. Secondo le indicazioni comunitarie, oltretutto, gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane devono raggiungere l’obiettivo di neutralità energetica entro il 2045.
«L’acquisto di materiale di cava da utilizzare quale substrato in questi sistemi di trattamento di acque reflue – spiegano Marzo e Ventura, illustrando la loro ricerca con un articolo per la rivista dell’Ateneo UnictMagazine -, incide notevolmente sui costi di realizzazione dell’opera. Pertanto, per rendere più sostenibile l’implementazione della fitodepurazione, l’utilizzo di prodotti di scarto come la cenere e i lapilli espulsi dall’Etna e depositati in quantità notevoli su una vasta area, oltre a contribuire a risolvere i problemi di smaltimento, eviterebbe di prelevare questi materiali dalle cave, mantenendo inalterato il territorio e risparmiando sui costi di realizzazione».
Attualmente è in corso al Di3A un’attività sperimentale su un prototipo di impianto di fitodepurazione di acque reflue provenienti dallo stesso dipartimento, in cui vengono effettuate delle prove su colonne che simulano i sistemi di fitodepurazione a flusso superficiale verticale, riempiti con i materiali piroclastici.
«I test – continuano le due ricercatrici – riguardano la stabilità chimica e le caratteristiche idrauliche di due granulometrie di ceneri vulcaniche e di un geopolimero di nuova sintesi realizzato con cenere vulcanica, materiale di scarto derivante da attività di costruzione e demolizione di opere edili e biochar, un carbone vegetale che ha già fornito prestazioni di trattamento molto elevate per la rimozione della sostanza organica e la riduzione di microorganismi patogeni quali Escherichia coli. Sulla base dei dati preliminari, i materiali testati hanno dimostrato di avere caratteristiche idrauliche e chimico-fisiche idonee per essere impiegati nei sistemi di fitodepurazione».