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La bufera dei dati Covid truccati in Sicilia: l’assessore Razza lascia, ma trema anche Musumeci

Di Alfredo Zermo |

CATANIA – Gli effetti del terremoto scatenato dall’inchiesta della Procura di Trapani sulla falsificazione dei dati Covid da parte della Regione siciliana per evitare che l’Isola finisse in zona rossa potrebbero essere solo all’inizio. Sono passate circa 4 ore dall’uscita della notizia dell’indagine su agenzie di stampa e siti internet alle dimissioni dell’assessore regionale alla Salute Ruggero Razza. Ma la scossa è stata avvertita pure più in alto. E anche se il presidente della Regione Nello Musumeci, non è indagato e – come scrive il Gip –  «sembra estraneo» e «tratto in inganno dalle false informazioni che gli vengono riferite», c’è già chi gli addebita una responsabilità politica per questo scandalo che getta ombre su tutta la sanità siciliana in momento in cui l’Isola non aveva certo bisogno di questo. E c’è pure chi invoca un commissariamento totale della sanità sicula. 

Sì, perché agli arresti domiciliari è finita la dirigente generale del Dipartimento Regionale per le Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico (Dasoe) Maria Letizia Di Liberti, il braccio operativo di Razza e di tutta la Regione nel controllo dell’epidemia in Sicilia. E ora credere alle comunicazioni di questa Regione siciliana diventa davvero difficile, sia a livello pubblico e sia a livello istituzionale. Sono già tanti i sindaci ei  medici che oggi si sentono presi in giro e sanno di aver potuto mettere a rischio la salute pubblica per colpa di dati falsificati, diluiti, scremati. Ed è lo stesso Gip di Trapani a scrivere che «le falsità commesse non hanno consentito a chi di competenza di apprezzare la reale diffusione della pandemia in Sicilia e di adottare le opportune determinazioni e non hanno permesso ai cittadini di conoscere la reale esposizione al rischio pandemico e di comportarsi di conseguenza». In sintesi, ci hanno nascosto la verità. 

In tutto gli indagati dell’inchiesta della Procura di Trapani sono sette. Secondo gli inquirenti avrebbero alterato i dati sulla pandemia (modificando il numero dei positivi, dei tamponi e dei decessi) inviati quotidianamente all’Istituto Superiore di Sanità, e condizionando così i provvedimenti adottati per il contenimento della diffusione del virus. Oltre a Razza e Di Liberti sono indagati Mario Palermo, Direttore del Servizio 4 del Daose; Salvatore Cusimano, dipendente della Regione Siciliana (finito anche lui agli arresti domiciliari), Emilio Madonia, dipendente della Società «Pricewaterhousecoopers Public Sector srl», che gestisce il sistema informatico dei flussi dei dati dell’assessorato (anche lui ai domiciliari), Giuseppe Rappa e Roberto Gambino, dipendenti dell’Asp di Palermo.

L’inchiesta della Procura di Trapani che ha scoperchiato questo verminaio è nata solo per caso ascoltando le intercettazioni effettuate intercettazioni nell’ambito di una inchiesta su un laboratorio di Alcamo (Trapani) che avrebbe rilasciato centinaia di tamponi errati. Così sono venute fuori le falsificazioni dei numeri dei dati giornalieri dei contagi e dei tamponi.

La Diliberti e Razza avrebbero giornalmente calmierato i dati per evitare che la Sicilia fosse inserita dal governo centrale in zona rossa, con le conseguenze del caso per le attività economiche costrette a chiudere. Le intercettazioni lasciano spazio a pochi dubbi in questo senso, anche se Razza dice che non sono mai stati alterati i numeri globali e Musumeci rivendica di essere stato lui a chiedere a metà gennaio la zona rossa al governo centrale. E’ anche vero però che a novembre – in piena pandemia – lo stesso Musumeci attaccava il governo nazionale che aveva messo la Sicilia in zona arancione, definendo quella scelta scriteriata.

Dal mese di novembre a oggi sono circa 40 gli episodi di falso documentati dagli investigatori dell’Arma nel corso delle indagini, l’ultimo dei quali risalente al 19 marzo 2021, quando Musumeci, dopo avere appreso i nuovi numeri di contagio che erano aumentati (255 solo a Palermo), parlava della necessità di istituire la zona rossa ma l’assessore alla Salute Ruggero Razza tergiversava e poi diceva che “non serve più”. Questo perché i dati erano stati cambiati all’improvviso. E Palermo così rimase zona arancione. 

«Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la piena collaborazione di tutti i soggetti indagati, ciascuno dei quali risulta calato in un ruolo nevralgico e, defilandosi, avrebbe potuto mettere in crisi il sistema, considerazione che vale, a maggior ragione, per i soggetti al vertice dell’amministrazione politica ed amministrativa», scrive il gip di Trapani nella ordinanza di custodia cautelare che spiega che la condotta  degli indagati non aveva «finalità personali», ma era da inquadrare nell’ambito di un disegno di natura politica». Ecco quindi il terremoto che fa tremare tutto il palazzo. In pratica, il disegno politico avrebbe portato gli indagati a cedere alle pressioni del mondo economico a scapito delle conseguenze che potevano esserci sul piano della salute pubblica. Ma come?

«Si è cercato – spiega il gip – di dare un’immagine della tenuta e dell’efficienza del servizio sanitario regionale e della classe politica che amministra migliore di quella reale e di evitare il passaggio dell’intera Regione o di alcune sue aree in zona arancione o rossa, con tutto quel che ne discende anche in termini di perdita di consenso elettorale per chi amministra». Da qui le invettive di Musumeci contro il governo centrale che aveva inserito la Sicilia in zona arancione, accusato dal governatore di “furbizie” nei confronti dell’Isola. 

L’inchiesta, che ora probabilmente sarà trasferta a Palermo perché qui è stato commesso il primo reato di falsificazione o a Roma dove hanno invece verosimilmente operato i soggetti indotti in errore, è solo all’inizio. Ed è lo stesso Gip che scrive che «vanno sicuramente meglio definite le posizioni di persone non ancora indagate, ma il cui agire sembra aver contribuito alla falsificazione di dati rilevanti».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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